Il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen durante la cerimonia in cui la bandiera palestinese è stata innalzata per la prima volta al Palazzo di vetro dell'Onu (foto LaPresse)

L'uomo senza un piano

Rolla Scolari
Il presidente palestinese Abu Mazen scivola nell’indifferenza, i suoi chiedono lo scontro armato

Milano. Non sono i titoli della stampa straniera a fare l’uomo, ma quelli più recenti sul rais palestinese Abu Mazen raccontano il suo progressivo scivolamento verso una pericolosa irrilevanza politica. “Un uomo senza un piano. I palestinesi non odiano Abbas, ma sono stufi di lui”, titolava ieri il Washington Post, spiegando come sia “un momento molto duro per essere il leader palestinese, un uomo senza un paese, o un mandato popolare, o qualcosa di simile a un piano”. Il discorso “bomba” che il presidente palestinese e leader del gruppo politico Fatah avrebbe dovuto presentare al Palazzo di vetro dell’Onu pochi giorni fa “si è smorzato”, ha scritto il New York Times. Abu Mazen ha sì annunciato che i palestinesi non si sentono più legati dai trattati passati con Israele, ma non ha fornito dettagli concreti. Si è fermato sull’orlo del precipizio di dichiarare invalidi gli accordi di Oslo del 1993 su cui si fonda l’intera struttura della sua Autorità nazionale. E la bandiera verde, rossa bianca e nera di uno stato palestinese che non c’è issata alle Nazioni Unite durante i giorni dell’Assemblea generale è stato un momento iconico e mediatizzato a New York, ma poco seguito a Ramallah.

 

In Cisgiordania, la popolazione è frustrata nei confronti di Israele, disillusa dalla capacità dell’Autorità nazionale di portare risultati, spossata dalla mancanza di diplomazia. In questo clima di stallo, con una situazione economica che deteriora con velocità nei Territori, i due terzi dei palestinesi vorrebbero le dimissioni del vecchio rais, e il numero di chi sostiene la “resistenza armata” è in crescita: il 28 per cento dei palestinesi pensa che il miglior modo per garantire sicurezza sia il ritorno alla lotta armata.

 

Sono i numeri del Palestinian Center for Policy and Survey Research, secondo cui, inoltre, otto palestinesi su dieci non credono che avranno uno Stato nei prossimi anni. E in questi giorni in cui aumenta il numero di azioni violente di “lupi solitari”, gli assalti all’arma bianca di cittadini israeliani da parte di giovani arabi, gli scontri tra palestinesi e forze di sicurezza israeliane vanno avanti da giorni a Gerusalemme e in Cisgiordania, e si teme per l’inizio di una Terza Intifada, la “debolezza” di cui Abu Mazen è stato accusato per decenni inizia ora ad avere conseguenze più pesanti.

 

[**Video_box_2**]Eppure, “l’uomo senza un piano” che doveva governare l’Autorità palestinese soltanto per quattro anni è ormai a palazzo da dieci, perché manca un successore che metta d’accordo la necessità di democrazia, la gente e la politica palestinesi, l’interlocutore israeliano e la comunità internazionale. Manca soprattutto un successore che, come Abu Mazen, continui a prendere le distanze da quella lotta armata e da quella violenza che emergono preoccupanti dalla cronaca e dai sondaggi.

 

“Il più forte dei leader più deboli”, lo definiva nel febbraio 2013 (anche allora si parlava del possibile sorgere di una Terza Intifada) il giornalista israeliano Ben Caspit: abbastanza debole da non riuscire a imporre il negoziato, abbastanza debole da non controllare la strada in Cisgiordania, abbastanza debole da perdere la Striscia di Gaza sotto la pressione armata del gruppo islamista Hamas, eppure leader da 35 anni, architetto di Oslo nei Novanta, protagonista nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e soprattutto voce fuori dal coro già ai tempi del suo predecessore Yasser Arafat, perché schierato in favore di una protesta non violenta. La sua posizione è diventata mainstream, spiegava Ben Caspit. Ed è per questa ragione che il quotidiano israeliano Haaretz in queste ore scrive come questa sia l’ultima chance per Abu Mazen per lasciare il suo marchio, “un marchio di moderazione che probabilmente non vedremo dopo di lui”. Il corrispondente militare del giornale, Anshel Pfeffer, ricorda da giorni come durante l’Intifada del 2000  le forze di sicurezza palestinesi abbiano preso le parti della sommossa. In questo caso, gli agenti palestinesi sotto la guida di un sempre più debole e sempre meno popolare rais collaborano con l’esercito israeliano nel tentativo di mantenere il controllo della situazione.

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