Alla guerra su una Toyota. La surreale querelle tra America e Giappone sulle auto dello Stato islamico

Maurizio Stefanini
Non sono stati però i tagliagole dello Stato Islamico i primi a scoprire che i suv della casa nipponica sono uno strumento di guerra particolarmente veloce e versatile: sia per portarci uomini armati; sia per sistemarci mitragliatrici e armi pesanti. Le usano abbondantemente anche i loro avversari peshmerga e ribelli siriani aiutati dagli americani.

“Perché l’Isis nei suoi video usa così massicciamente i vostri veicoli?”. “Non ne abbiamo la minima idea””. Raggiungono vertici surreali sia l’indagine che il Dipartimento del Tesoro di Washington ha aperto a proposito dei modelli di suv giapponesi su cui i terroristi si esibiscono, sia la risposta che la Toyota ha dato. Lungi dall’essere lusingata per quello che in fondo è il più colossale degli spot gratuiti, la casa giapponese ha preso la cosa in modo molto nipponico: con serietà e costernazione.

 

“La Toyota ha una stretta politica di non vendere veicoli a possibili compratori che possano utilizzarli per attività paramilitari e terroriste”, ha spiegato un portavoce. “Siamo impegnati ad adempiere in pieno le leggi e regolamenti di ogni Paese o regione dove operiamo, e richiediamo ai nostri concessionari e distributori di fare lo stesso”. Però ha pure aggiunto: “E’ impossibile per un fabbricante di automobili controllare i canali diretti e illegali attraverso i quali i veicoli possono essere sottratti, rubati o rivenduto da terze parti indipendenti”. Certo è che tra 2013 e 2014 le vendite di Toyota in Medio Oriente erano cresciute di un 11 per cento. Un record. Un boom automobilistico subito seguito da quello militare. Come se qualcuno avesse provveduto a accumulare le scorte prima dell’escalation.

 

Non sono stati però i tagliagole dello Stato Islamico i primi a scoprire che le Toyota sono uno strumento di guerra particolarmente veloce e versatile: sia per portarci uomini armati; sia per sistemarci mitragliatrici e armi pesanti. Le usano abbondantemente anche i loro avversari peshmerga e ribelli siriani aiutati dagli americani.

 

[**Video_box_2**]E’ nel 1987 che si assistette però alla vera guerra delle Toyota. La si combatte in Ciad tra il corpo di spedizione di Gheddafi e l’esercito del regime filo-francese di Hissène Habré, con l’obiettivo di annettersi la fascia di Aouzou, ricca di uranio e petrolio. Armati con missili anticarro forniti da Parigi, le rapide  camionette dei ciadiani fanno a pezzi i pesanti carri armati libici: una disfatta che segna l’inizio del lungo declino del raìs, ma secondo alcuni polemologhi anche l’inizio della fine dell’era del carro armato. Altri polemologhi attribuiscono alla “scoperta” dei pick-up Toyota anche l’improvvisa ascesa dei talebani in Afghanistan.

 

Andando ancora più indietro, l’uso “creativo” dei mezzi di trasporto rapidi fu una delle “rivoluzioni” che seguirono la statica Prima Guerra Mondiale. Da una parte il camion, che fu strumento decisivo per le azioni delle squadre delle camicie nere in Italia e camicie brune in Germania. Dall’altra la tachanka: carrozza a cavalli con montata sopra una mitragliatrice, che fu un asso nella manica dei bolscevichi durante la Guerra Civile Russa, ed ebbe in seguito un ruolo importante anche nella Guerra Russo-Polacca. Le eredità di entrambe furono in qualche modo conglobate dalle divisioni corazzate e motorizzate protagoniste della Seconda Guerra Mondiale, e poi dai veicoli trasporto truppe per fanteria meccanizzata centrali negli eserciti della fase finale della Guerra fredda. Ma con le nuove tecnologie anti-carro, nelle guerre di milizie del medio oriente si torna al modello tachanka. Coi motori al posto dei cavalli.

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