Rugby World Cup 2015 - Pool B - Sudafrica vs Giappone - Brighton Community Stadium (foto LaPresse)

Quella sporca ultima meta di Shinzo Abe

Giulia Pompili
I giapponesi vincono al rugby perché sanno fare la guerra (e viceversa). Cosa insegna il weekend storico della palla ovale e del Giappone militarizzato
E’ una delle scene più belle di “Kill Bill” di Tarantino: Black Mamba – Uma Thurman – sale su un volo Okinawa-Tokyo e porta con sé una spada di Hattori Hanzo. Vuole vendicarsi di O-Ren Ishii (interpretata da Lucy Liu) che nel frattempo è diventata capo della yakuza locale e ha a disposizione, come esercito personale, gli 88 folli e la giovane e spietata (di catena con palla chiodata munita) Gogo Yubari. Black Mamba in venti minuti di film li fa fuori tutti, compresa O-Ren, che prima di morire le dirà: “Non sai combattere come un samurai ma puoi morire come un samurai”. Sbagliato, è il messaggio della pellicola. Ma nel film originale “Lady Snowblood”, la protagonista del film di Toshiya Fujita, è giapponese. Tarantino invece trasforma il personaggio vincente in Uma Thurman. Eccolo, l’errore: nella vita reale, nessuno può eguagliare la capacità tutta nipponica di perseguire un obiettivo fino in fondo. Non importa quante sconfitte dovrai subire. E’ la prima regola delle arti marziali. Ci sono secoli di letteratura, secoli di storia a dimostrarlo (ve lo ricordate, il soldato dell’Esercito imperiale Hiro Onoda, che per trent’anni combatté una guerra che era finita già da un pezzo?). Una forma mentis che, a ben vedere, influenza anche la politica.

 

La vittoria della nazionale giapponese di rugby contro il Sudafrica di sabato scorso, celebrata sui media di tutto il mondo (“incredibile” e “la più grande sorpresa della storia del rugby”) è arrivata nello stesso giorno di un’altra vittoria storica: quella del primo ministro Shinzo Abe, che è riuscito a ottenere l’approvazione del pacchetto di leggi che modifica l’interpretazione dell’articolo 9 della Carta nipponica. In pratica, dopo settant’anni di pacifismo imposto dall’America, il Giappone adesso avrà la possibilità di mandare i suoi soldati a combattere anche all’estero [continua a leggere qui]. Shinzo Abe ha iniziato il suo mandato promettendo di far tornare il Giappone un paese con un suo esercito. E ci è riuscito. Ma è riuscito anche in un’altra cosa: improvvisamente il popolo giapponese, che in settant’anni ha interiorizzato la Costituzione pacifista, si è riscoperto unito contro alcune decisioni politiche [leggi gli ultimi sondaggi qui]. E sono stati infatti giorni complicati in tutto il Giappone, con i palazzi del potere di Tokyo presidiati da contestatori, con proteste spontanee un po’ ovunque. E anche nella Dieta, il Parlamento giapponese, la lunga notte dell’approvazione del pacchetto di leggi ha visto i membri dell’opposizione in atteggiamenti inusuali, e molto aggressivi.

 

[**Video_box_2**]Il Giappone – che è tredicesimo nel ranking mondiale – ha battuto il Sudafrica – una delle squadre più forti al mondo – 34 a 32, con un’ultima meta degna della sceneggiatura di un film. Eddie Jones, l’allenatore della nazionale giapponese di rugby, ha commentato così la vittoria della sua squadra sul Sudafrica: “La storia del rugby giapponese è cambiata”. Del resto il rugby in Giappone, come il baseball, è stato importato ufficialmente durante il Ventesimo secolo: lo sport era un terreno di dialogo con l’occidente, ma al di là delle regole sportive, i giapponesi non hanno mai rinunciato ad applicare agli allenamenti i codici del bushido (il codice di condotta dei guerrieri) anche quando praticavano attività straniere. Per il rugby fu facile, anche perché prima e durante la Seconda guerra mondiale, uno dei maggiori promotori dello sport fu il principe Chichibu, fratello minore di Hirohito. Lo sport aveva il sigillo della Casa imperiale. Esattamente come la Costituzione pacifista – e quell’articolo 9 – anche il rugby in un secolo è diventato parte della storia giapponese. E sabato non è cambiata solo quella del rugby. Non è un caso se Shinzo Abe ha commentato ieri su Facebook: “Sono colpito da chi combatte per una vittoria fino alla fine senza mai rinunciare”.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.