"Ogni pausa nei combattimenti rischia di comportare la distruzione di ulteriori tesori culturali di inestimabile valore"

Feluche nostrane a rapporto

“Non si può lasciare respiro allo Stato islamico, l'Italia è in prima linea”

Matteo Matzuzzi
Non solo di numeri si discute nell’Undicesima conferenza degli ambasciatori alla Farnesina e dedicata a una riflessione sull’azione internazionale del nostro paese anche – e soprattutto – in riferimento agli scenari di crisi nella regione che va dal Mediterraneo orientale all’Asia centrale. Il Foglio ha conversato con gli ambasciatori italiani in Iraq e Afghanistan.

Roma. Più di 45 mila interventi di protezione a tutela consolare, 5 evacuazioni di connazionali all’estero, 19 sequestri affrontati, 3 mila ricerche di italiani scomparsi, quasi 8 mila corsi di lingua attivati all’estero. Sono solo alcune cifre relative all’attività della nostra rete diplomatica nel mondo per quanto riguarda il 2014. E il tutto ha inciso solo per lo 0,18 per cento sul bilancio dello stato. Ma non solo di numeri si discute nell’Undicesima conferenza degli ambasciatori, da ieri e fino a oggi alla Farnesina e dedicata quest’anno a una riflessione ad ampio raggio sull’azione internazionale del nostro paese e alla tutela degli interessi nazionali, anche – e soprattutto – in riferimento agli scenari di crisi che oggi si moltiplicano, soprattutto nella regione che va dal Mediterraneo orientale all’Asia centrale. Il Foglio ha conversato con gli ambasciatori italiani in Iraq e Afghanistan, zone di guerra dove l’impegno italiano è continuo e abbraccia non solo il campo militare ma anche quello civile e culturale. Per mesi i media sono stati inondati dalle immagini della distruzione delle chiese nella piana di Ninive, con le statue del museo nazionale di Mosul fatte a pezzi dai miliziani jihadisti aderenti al cosiddetto Califfato: “I video sulle distruzioni del museo di Mosul, delle statue di Nimrod e della città di Hatra hanno lasciato pochi dubbi circa l’entità delle perdite del patrimonio religioso e archeologico nel nord dell’Iraq”, dice l’ambasciatore a Baghdad, Marco Carnelos. “Ciò che è intollerabile, oltre alla distruzione dei tesori, è il tentativo dei fanatici del Daesh di minare le fondamenta del sincretismo religioso che ha costituito il terreno fertile per lo sviluppo della civiltà umana, e di profanare luoghi che erano simbolo dell’intrecciarsi armonico delle religioni monoteistiche – come nel caso della moschea di Nabi Yunus, che sorgeva sopra la tomba di Giona. Paradossalmente – aggiunge il nostro rappresentate in Iraq – il Daesh distrugge icone culturali e lo fa servendosi di immagini abilmente montate. Stabilisce una narrativa che reputa il dialogo e la reciproca influenza culturale un’aberrazione. Contro questa follia è necessaria una contro-narrativa che deve coinvolgere i paesi amici dell’Iraq, e l’Italia è in prima linea”, assicura Carnelos, che aggiunge: “E’ una battaglia da combattere e da vincere con altrettanta urgenza e determinazione di quella combattuta sul piano militare. Ed è per questo che dobbiamo essere orgogliosi del lavoro portato avanti dai team di archeologi e di restauratori italiani in Iraq, con il supporto della nostra Cooperazione allo sviluppo”.

 

Compito particolarmente importante in quella che fu la Mesopotamia, dove è nata la civiltà umana così come la conosciamo oggi. L’Italia, spiega l’ambasciatore, “ha un dovere morale nella tutela del patrimonio culturale e archeologico di quella che è la culla della civiltà”. Un dovere che “stiamo onorando come una vera superpotenza culturale. Il nostro paese ha messo a disposizione sin dal 2003 ingenti risorse, circa 13 milioni di euro, per la conservazione del patrimonio culturale iracheno”. Ricordiamo che l’allarme sulla distruzione del patrimonio artistico assiro è stato lanciato da una equipe italiana, dell’Università di Udine, e l’ambasciatore osserva che “l’impegno italiano si è concretizzato in missioni archeologiche, in interventi di restauro del patrimonio iracheno distrutto dopo la guerra del 2003, negli sforzi di recuperare artefatti commerciati illegalmente in seguito al saccheggio dei musei e dei siti”. Oggi, “il ministero del Turismo e delle antichità dell’Iraq vede nell’Italia il primo partner al mondo in questo settore di collaborazione”. Tra i monumenti da preservare ci sono anche le chiese, sovente profanate: “La situazione dei cristiani in Iraq è molto difficile”, ammette Carnelos, aggiungendo che “la distruzione arrecata al patrimonio culturale della cristianità d’oriente è stata in alcuni casi gravissima e in altri irrecuperabile”. A ogni modo “non siamo ancora al punto di non ritorno. Potremmo arrivarci se non riusciremo a imprimere maggior slancio ed efficacia alla lotta contro il Daesh. Finora, l’offensiva della coalizione e delle forze di sicurezza irachene ha inchiodato i terroristi impedendogli di dedicarsi ad altre attività scellerate, come la distruzione del patrimonio culturale del paese. Per questo – chiosa l’ambasciatore italiano – è necessario mantenere l’iniziativa senza lasciare respiro allo Stato islamico. Ogni pausa nei combattimenti rischia di comportare la distruzione di ulteriori tesori archeologici, artistici e culturali di inestimabile valore”.

 

[**Video_box_2**]Uno scenario non troppo dissimile da quello afghano, dove a dispetto di qualche articolo sulla ripresa del turismo nella zona di Bamiyan, passata alla storia per la distruzione dei Buddha giganti a opera dei talebani, la situazione è ancora complessa. “Sconsigliamo i viaggi. Certamente, l’Afghanistan è ricco quanto a patrimonio culturale e artistico, e ha molto da offrire anche sul piano paesaggistico – fino a qualche anno fa c’era anche chi faceva sci estremo. Ora, però, le condizioni di sicurezza, non lo permettono”, dice al Foglio l’ambasciatore a Kabul, Luciano Pezzotti. Proprio a Bamiyan, l’Italia è presente: “Insieme all’Unesco ci stiamo dedicando al recupero di reperti islamici. Lavoriamo con la prospettiva di dar vita, lì, a un parco culturale archeologico”. Date le precarie condizioni di sicurezza, “ci diamo da fare per il futuro. Conservare i reperti (molti dei quali, con ogni probabilità, sono stati trafugati all’estero) e preservarli per i prossimi anni”. Sempre con l’Unesco, aggiunge Pezzotti, si lavora al recupero di alcuni complessi archeologici a Herat, dove più è evidente il lavoro italiano, anche per la relativa tranquillità – “ma tutto l’Afghanistan continua a essere rischioso”, precisa il nostro interlocutore” – della zona rispetto a Kabul. “Nonostante la situazione, abbiamo sviluppato e stiamo sviluppando progetti per il futuro, e non attinenti meramente al piano culturale. Penso ad esempio ai progetti infrastrutturali: tra una decina di giorni inaugureremo i lavori per la circonvallazione da 50 chilometri, poi ci sarà la grande autostrada che taglierà il paese da ovest a est e, ancora, l’aeroporto. Sono progetti approvati negli anni, che saranno portati avanti anche quando la nostra presenza militare qui avrà fine, tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016. Rimarrà comunque una significativa presenza civile, penso ad esempio alla cooperazione ospedaliera”. C’è poi la collaborazione in campo militare, più nota anche all’opinione pubblica: “Cito quella con l’Accademia di Modena, ma posso anche far riferimento alla quindicina di esperti militari per le valanghe che vengono da noi addestrati. Di certo è più semplice, anche per ragioni di sicurezza, addestrarli in Italia e poi riportarli in Afghanistan affinché facciano training in loco”. Da anni, poi, vanno avanti il nostro paese ospita studenti afghani: “Ci sono diversi progetti avviati ormai da tempo con il Politecnico di Torino e l’Università per stranieri di Perugia”, dice Pezzotti. Quanto ai corsi di lingua italiana, “sono stati realizzati sì dall’Università di Herat, ma si tratta per lo più di corsi partiti da iniziative locali. C’è naturalmente un interesse maggiore, tra i giovani, per la lingua inglese”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.