Il presidente afghano Ashraf Ghani (foto LaPresse)

Con chi ci facciamo vedere oggi a fare la pace? Con i talebani!

Rolla Scolari
Il presidente afghano Ashraf Ghani e la leadership talebana mediano per la stabilizzazione del paese. Ma i dubbi restano molti

Milano. Sono già stati definiti i colloqui più importanti tra il governo afghano e la leadership talebana in 14 anni di conflitto armato. Le due delegazioni hanno rotto assieme il digiuno del mese sacro di Ramadan martedì in un resort sulle montagne a novanta chilometri da Islamabad, in Pakistan, e hanno discusso fino all’alba. Nei colloqui preliminari avrebbero trovato punti di compromesso e deciso di incontrarsi ancora, il mese prossimo, e continuare a negoziare una possibile pace. I moderatori pachistani si mostrano soddisfatti per “i passi avanti” fatti e secondo un funzionario anonimo del governo di Islamabad citato dal Washington Post si sarebbe perfino ipotizzato un ruolo della leadership talebana nel governo di Kabul. Più caute le reazioni invece delle delegazioni americana e cinese, che hanno monitorato i colloqui. La Casa Bianca ha parlato di “un passo importante per portare avanti la possibilità di una pace credibile”, e l’alleato afghano, il presidente Ashraf Ghani che ha fatto di questi negoziati una sua priorità politica, li ha definiti “un primo passo verso la pace”.

 

E’ la prima volta che il governo di Kabul ammette l’esistenza di contatti diretti tra le parti, anche se nei mesi passati erano emerse notizie di incontri in Cina (Pechino ha un ruolo attivo nella trattativa) in Qatar e in Norvegia. L’ultima volta che un tentativo simile era stato fatto, in Qatar, due anni fa, i contatti erano terminati nel momento in cui fuori dall’ufficio aperto a Doha dalla delegazione talebana era stata fatta sventolare la bandiera dell’Emirato islamico dell’Afghanistan.

 

Restano molti dubbi a Kabul e all’interno della comunità internazionale su queste aperture. I colloqui si sono tenuti in Pakistan perché è lì che vivono molti leader talebani. Le trattative sarebbero monitorate e appoggiate dal potente capo dell’esercito, il generale Raheel Sharif, ma tra i politici afghani la sfiducia nei confronti dell’ambigua posizione di Islamabad nei confronti dei talebani rimane. Allo stesso tempo, c’è chi si chiede se i leader talebani coinvolti nei colloqui – di cui non sono stati resi noti i nomi – rappresentino realmente la base militare e parlino per tutti. Il New York Times nelle ore scorse ha pubblicato alcune linee di un’email ricevuta dall’ufficio politico dei talebani in Qatar che definiscono “non autorizzata” la delegazione presente in Pakistan, mentre proprio nel giorno dell’inizio dei colloqui due bombe sono scoppiate a Kabul, dove sono soprattutto i soldati afghani a combattere dopo il progressivo (e non ancora concluso) ritiro delle truppe della Nato.

 

[**Video_box_2**]A complicare la situazione negli ultimi mesi sono arrivate notizie di una piccola presenza dello Stato islamico in Afghanistan e della defezione di alcuni comandanti talebani in suo favore. Se da una parte questo potrebbe spingere la leadership talebana, preoccupata dalla perdita di adepti, a cercare un compromesso con il governo per guadagnare lo status di forza politica legittima, dall’altra le fazioni più radicali e contrarie a una soluzione potrebbero andare ad arruolarsi con le truppe del Califfato che combattono in Siria e in Iraq. Secondo la Reuters, il comandante talebano Abdul Qayyum Zakir avrebbe minacciato proprio questo, se un accordo con il governo dovesse essere raggiunto. Sul terreno il gruppo che ha perso nel 2001 il controllo di Kabul è diviso e il suo leader, il Mullah Omar, non si presenta in pubblico da dieci anni – non si sa con certezza nemmeno se sia ancora in vita. Benché i jihadisti che hanno giurato fedeltà allo Stato islamico in terra afghana non siano tanti, secondo lo stesso comandante delle forze Nato nel paese, il generale John Campbell, nella provincia orientale di Nangarhar nei mesi scorsi ci sono stati scontri tra comandanti talebani e combattenti che avrebbero disertato per arruolarsi con lo Stato islamico. E le violenze avrebbero costretto centinaia di abitanti locali ad abbandonare le proprie abitazioni.

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