"La vita è una prova, scriveva Abdulazeez, 'progettata per separare gli abitanti del Paradiso dagli abitanti dell’Inferno'” (foto LaPresse

Sottomissione a Chattanooga

Giulio Meotti
Buchi neri, altro che lupi solitari. Il jihadista che insanguina l’America non è come quello che attacca l’Europa. Vive in cittadine sperdute, ordinate, silenziose, ipnotiche, dove il diritto di costruire moschee non è in discussione come a Marsiglia, Malmö o Bradford. 

Roma. Buchi neri, altro che lupi solitari. Il jihadista che insanguina l’America non è come quello che attacca l’Europa. Vive in cittadine sperdute, ordinate, silenziose, ipnotiche, dove il diritto di costruire moschee non è in discussione come a Marsiglia, Malmö o Bradford. In America non esiste l’abbandono delle banlieue e dei ghetti multiculti, non c’è la laïcité o l’irriverenza di Charlie Hebdo, c’è il free speech, il Primo emendamento, i media che si autocensurano su Maometto, l’ossequio verso il pluralismo religioso coniugato a grandi opportunità economiche. Under that God, sotto quel Dio, i Padri fondatori misero la loro rivoluzione. Per questo è tanto più incredibile il “jihad a Chattanooga”. Eppure è lì, in Tennessee, che si è consumata la soumission, la sottomissione ad Allah.

 

Mohammad Youssuf Abdulazeez non tagliava teste. Il suo volto sembrava uscito non da un video dello Stato islamico, ma dal film “American Beauty”. L’High School Yearbook di Abdulazeez recitava: “Il mio nome causa allerta nella sicurezza nazionale. E il vostro?”. Si era perfettamente calato nei panni della vittima dell’industria della “islamofobia”. Poi ha ucciso quattro marine e martirizzato se stesso con un Ak-47. Era un giovane ben istruito, Abdulazeez, il cui unico problema con la legge era stato “guida ad alta velocità”. I suoi vicini di casa a Hixson, un sobborgo di Chattanooga, dicono che “era il tipico ragazzo americano, bello e gentile, in t-shirt e jeans”. Con la famiglia si era accasato a Colonial Shores, oltre il fiume Tennessee, una sorta di set cinematografico, surreale e perfettamente curato, con case borghesi e canestri annessi. Un posto simile a dove è cresciuto John Walker Lindh, il “Talebano John” della contea di Marin, la regione più celebrata per gli stili di vita hippie della California. Dopo aver conseguito una laurea in Ingegneria, la famiglia di Abdulazeez gli aveva fatto una festa con una torta, la scritta “Congratulations Mohammad Class of 2012” e foto di fronte alla bandiera americana. Poi il futuro islamista aveva trovato lavoro nell’Autorità pubblica per l’elettricità. Un ingegnere laureato in America, come Khalid Sheikh Mohammed, la mente dell’11 settembre, uno studente esemplare della North Carolina A&T State University. Negli ultimi due o tre mesi, Abdulazeez frequentava la preghiera del venerdì della moschea Islamic Society of Greater Chattanooga, fiera – dicono – di praticare “la via della moderazione”. Secondo l’intelligence americana il terrorista ha trascorso sette mesi in Giordania nel 2014.

 

[**Video_box_2**]Era una perfetta famiglia islamica quella di Abdulazeez. Il padre, Youssef, è un impiegato del dipartimento Opere pubbliche di Chattanooga. Una sorella del terrorista, Dalia, è insegnante alle scuole elementari di Woodmore. Il corpo docenti e studenti le fece una festa per celebrare la sua naturalizzazione come cittadina degli Stati Uniti. Un’altra sorella, Yasmeen, ha condotto in città le battaglie per il diritto di indossare il velo in aula e sul campo da pallavolo. Cinque anni fa rilasciò una intervista al Chattanooga Free Press in cui spiegava che non aveva paura di confrontarsi con i cittadini: “C’è questa idea sbagliata secondo cui l’islam è una religione violenta”. Secondo Reuters e Site, la piattaforma che monitora i siti jihadisti, Abdulazeez aveva appena scritto nel suo blog che “la vita è breve e amara” e che i musulmani non devono perdere l’occasione di “presentarsi ad Allah”. Il primo post era intitolato “Una prigione chiamata Dunya”, riferendosi al mondo temporale. La vita è una prova, scriveva Abdulazeez, “progettata per separare gli abitanti del Paradiso dagli abitanti dell’Inferno”. Gli aveva dato tutto l’America, istruzione, lavoro, tranquillità sociale e religiosa. Ma lui gli ha preferito il jihad e non c’è integrazione o intelligence che lo potesse fermare. “Sappiate che la vita di questo mondo non è altro che divertimento e svago, come pioggia che fa crescere le piante; si asciuga e si rivela di colore giallo; allora diventa detriti” aveva scritto prima di ammazzare americani. E poi: “La vita di questo mondo è piacere dell’illusione”. Giovani americani, musulmani ortodossi, che un giorno giurano fedeltà non più alla Costituzione e alla ricerca della felicità, ma al Corano e alla ricerca del Paradiso all’ombra delle spade. Sul profilo Facebook della madre c’è una fotografia dei fiori in giardino: “Li ha piantati mio figlio, Mohammed Abdulazeez”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.