"Jihadi John", in un video di un'esecuzione di un prigioniero

Dal Welfare al Califfato. Così l'Isis usa lo stato sociale per il jihad

Giulio Meotti
Secondo documenti di intelligence trapelati, trenta jihadisti danesi hanno fatto incetta di assegni di disoccupazione per un totale di 51 mila euro. Mentre in medio oriente tagliavano teste agli "infedeli".

Roma. Il terrorista francese che venerdì scorso ha decapitato il datore di lavoro viveva in una casa popolare. I fratelli Kouachi, che hanno decimato la redazione di Charlie Hebdo, beneficiavano di un appartamento con targa all’ingresso dell’Unione europea. La famiglia di Jihadi John, il boia dei giornalisti occidentali a Raqqa, prende 40 mila sterline all’anno di sussidi e dal 1996, quando è immigrata nel Regno Unito, è costata ai contribuenti britannici oltre 400 mila sterline (il municipio di Westminster continua a pagare ogni settimana 450 sterline per l’affitto dell’appartamento in cui viveva la famiglia di Jihadi John, al secolo Mohammed Emwazi). E’ la guerra santa coi soldi dei contribuenti europei. Dal Welfare state al Califfato. Ora su questo scandalo getta luce un rapporto del Gatestone Institute. Secondo documenti di intelligence trapelati, trenta jihadisti danesi hanno fatto incetta di assegni di disoccupazione per un totale di 51 mila euro mentre tagliavano teste per conto dello Stato islamico in Siria. La famiglia di Omar Abdel Hamid el Hussein, il terrorista danese responsabile dell’attacco terroristico a Copenaghen nel febbraio scorso, in cui morirono due persone, da vent’anni riceve assegni dall’assistenza sociale danese. In Austria la polizia ha arrestato tredici jihadisti che utilizzavano i sussidi sociali per finanziare i loro viaggi della morte in Siria. C’è anche chi beneficiava dell’indennità per congedo di paternità (Väterkarenz).

 

In Belgio, trenta jihadisti accedevano ai loro conti bancari, prelevando denaro dalle banche turche, appena oltre il confine con la Siria. Malika El Aroud, la pasionaria della guerra santa in Europa, la vedova del kamikaze che su ordine di Osama bin Laden uccise il leader afghano Ahmed Shah Massoud alla vigilia degli attentati dell’11 settembre 2001, ogni mese riceve settecento euro dal generoso welfare belga. Il Regno Unito è maestro su questo fronte. L’imam inglese Anjem Choudary, che fomenta il jihad a Londra, ha esortato i fedeli a lasciare il lavoro e a chiedere l’indennità di disoccupazione per pianificare la guerra santa contro gli infedeli. Lo stesso Choudary ha a lungo incassato 25 mila sterline l’anno di benefit sociali. Da anni i predicatori che aizzano le masse a distruggere la democrazia inglese godono dei fondi del welfare britannico. L’imam Abu Qatada ha persino ottenuto un’assistenza legale di 390 mila sterline per evitare di essere espulso in Giordania (alla fine è stato cacciato dal Regno Unito). Omar Bakri ha ottenuto benefit sociali per 300 mila sterline prima di essere espulso in Libano. Campava non male con i vari sussidi concessi da quello stato britannico che considerava il suo principale nemico anche Parvez Khan, condannato all’ergastolo nel 2008 per la progettata decapitazione di un soldato britannico. Riceveva complessivamente 1.696 sterline al mese. L’indottrinamento dei figli avveniva in salotto, nell’appartamento del quartiere di Birmingham dove la famiglia Khan viveva. Il figlio, se faceva degli errori nella recitazione di passi del Corano, veniva percosso col bastone.

 

“Questi parassiti terroristi”

 

In Germania, un’analisi dei 450 musulmani tedeschi che combattono in Siria rileva che il venti per cento di loro riceve sussidi dallo stato tedesco, tanto da spingere il ministro dell’Interno della Baviera, Joachim Hermann, a dichiarare: “Non dovevamo arrivare a questo. Il denaro dei contribuenti non avrebbe mai dovuto finanziare direttamente o indirettamente il terrorismo islamista. I sussidi di questi parassiti terroristi dovevano essere eliminati subito. Non lavorare e diffondere il terrore a spese dello stato tedesco non è solo estremamente pericoloso, è anche la peggiore provocazione e infamia”.

 

[**Video_box_2**]In Svezia, l’agenzia governativa del lavoro, la Arbetsförmedlingen, ha dovuto abbandonare il programma pilota che in teoria avrebbe dovuto aiutare gli immigrati a trovare lavoro. Alcuni dipendenti musulmani dell’agenzia dirottavano parte dei fondi verso i jihadisti impegnati con lo Stato islamico. La città svedese di Orebro ha appena approvato un programma ambizioso: reinserimento sociale per chi decide di tornare da Siria e Iraq. Uccidi un “infedele” e troverai lavoro. Invano è caduto l’appello di Zulmay Afzeli, columnist di fede islamica per il giornale Svenska Dagbladet, il quale aveva denunciato che “metà dei fedeli della mia moschea di Stoccolma sono partiti per la Siria”.

 

Nei Paesi Bassi, un jihadista di nome Khalid Abdurahman è apparso in un video truculento dello Stato islamico a Raqqa, mentre posa accovacciato di fronte a cinque teste che aveva appena mozzato. Come rivela il quotidiano olandese Volkskrant, i servizi sociali dell’Aia lo avevano dichiarato “non idoneo al lavoro” e gli avevano anche pagato i farmaci per il trattamento della claustrofobia e della schizofrenia. Khalid è originario di Almere, la città più giovane d’Olanda, salutata dagli architetti del welfare olandese come “il test del futuro del multiculturalismo”. Da lì sono partiti in tanti per andare a decapitare “infedeli” in medio oriente.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.