Lo sbarco di un gruppo di migranti al Porto di Reggio Calabria (foto LaPresse)

Eurotrucchi sui migranti

David Carretta
“Spiace dirlo perché sono esseri umani: è come con i fondi europei, ma qui vince chi ne prende meno”

Bruxelles. Il primo dibattito ufficiale tra gli ambasciatori dei 28 paesi dell’Unione europea ancora non c’è stato, ma ormai è certo che il “meccanismo di risposta di emergenza” ai flussi migratori in Italia e Grecia non partirà il 1° luglio, come aveva sperato la Commissione di Jean-Claude Juncker, proponendo di redistribuire tra gli stati membri 40 mila richiedenti asilo per i prossimi due anni. “Noi crediamo che si debba agire ora e non tra quattro mesi”, si è affrettata a dire ieri una portavoce dell’esecutivo comunitario: “Abbiamo messo una proposta ambiziosa sul tavolo con il meccanismo di ricollocamento. Sapevamo che non avremmo vinto un premio di popolarità, ma ci aspettiamo che i ministri si assumano le proprie responsabilità”, ha avvertito la Commissione. E invece, incuranti dei più di 100 mila sbarchi sulla costa europea del Mediterraneo avvenuti dall’inizio dell’anno, i ministri dell’Interno dei 28 intendono prendersi più tempo, aspettare la fine dell’alta stagione delle traversate e, se non insabbiare definitivamente, almeno annacquare la proposta Juncker. Nel Consiglio affari interni di martedì a Lussemburgo non ci sarà “nessuna decisione”, ma solo un “dibattito politico” sull’agenda strategica per le migrazioni, spiega Janis Berzins, portavoce della presidenza di turno lettone dell’Ue. Un rinvio a settembre sarebbe “un’enorme sconfitta politica per l’Europa”, ha reagito il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni: “Ci batteremo perché il piano della Commissione venga approvato nei tempi previsti”.

 

La battaglia dell’Italia si annuncia difficile, viste le posizioni espresse finora dagli stati membri su una questione che tocca la pancia degli elettori nazionali.

 

Secondo la proposta presentata lo scorso maggio, nei prossimi due anni dovrebbero essere riallocati tra 23 paesi dell’Ue 40 mila cittadini siriani ed eritrei “bisognosi di protezione internazionale”: dal 10 luglio dovrebbero essere trasferiti 24 mila migranti dall’Italia e 16 mila dalla Grecia verso altri 23 paesi (Regno Unito, Irlanda e Danimarca sono esclusi). Ma la chiave di ripartizione (pil, popolazione, disoccupazione e numero richiedenti asilo già accolti) e l’obbligatorietà del meccanismo sono contestatissimi. La prima discussione tra i tecnici dei 28 governi, avvenuta dentro il Comitato strategico su immigrazione, frontiere e asilo, ha visto quattro schieramenti. “Spiace dirlo perché sono esseri umani, e non fondi europei. Ma è stato come il negoziato su come spartirsi la torta del bilancio comunitario”, racconta al Foglio un’altra fonte europea. “Solo che in questo caso, vince chi prende la fetta più piccola di migranti, non la fetta più grossa di soldi”.

 

I due paesi più favorevoli al sistema di quote per richiedenti asilo sono – ovviamente – Italia e Grecia, a cui si sono associati Malta e Cipro. I due più contrari, anche su base volontaria, sono invece Ungheria e Repubblica ceca, che negli ultimi mesi hanno visto aumentare i flussi di rifugiati dal Kosovo. Nel mezzo ci sono altri due gruppi. La Polonia e i paesi baltici si sono alleati con Spagna e Portogallo, contestando la ripartizione obbligatoria dei richiedenti asilo. “Madrid e Lisbona hanno rotto il fronte dell’unità mediterranea perché oggi non sono sotto pressione”, spiega la fonte europea. I numeri dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu confermano: nel 2015 solo 920 migranti sono sbarcati in Spagna, contro i 54 mila in Italia e i 48 mila in Grecia. Ma il vero freno a un accordo sul “meccanismo di risposta di emergenza” è quello di chi si dice pronto a sostenere il principio della “solidarietà”, anche con quote obbligatorie, ma “non accetta la proposta della Commissione così com’è”, dice la fonte. Nel quarto gruppo, Germania, Francia, Svezia, Olanda, Belgio e Austria “hanno ciascuno le loro richieste”, che mirano a “ridurre” il numero.

 

In realtà, gli attori chiave delle trattative sono i grandi paesi – Germania, Francia, Spagna e Polonia – che hanno i numeri per arrivare alla maggioranza qualificata (55 per cento dei governi, che rappresentano il 65 per cento della popolazione Ue) necessaria ad approvare le quote. Malgrado il sostegno della cancelliera Angela Merkel, il suo ministro dell’Interno, Thomas de Maizière, ha firmato una dichiarazione congiunta con il francese Bernard Cazeneuve per chiedere di imporre più “responsabilità”. Berlino non si fida dei governi di Roma e Atene, che evitano di identificare i migranti quando sbarcano per permettere loro di sgattaiolare oltrefrontiera in violazione delle regole di Schengen. Per Parigi, invece, è più un problema di numeri: Cazeneuve vuole rivedere i criteri di ripartizione per dare meno peso a pil e popolazione e aumentare quello dei richiedenti asilo già accolti, in modo da avere uno sconto sui quasi 10 mila che sono stati attribuiti alla Francia. Il vertice dei capi di stato e di governo di fine mese potrebbe essere decisivo affinché la proposta Juncker sulle quote, anche se annacquata, venga approvata almeno in settembre. Ma l’agenda è piena: il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, dovrà faticare per fare spazio all’immigrazione tra crisi della Grecia, futuro dell’Unione economica e monetaria e sanzioni alla Russia da rinnovare.