Benjamin Netanyahu (foto LaPresse)

Il trionfo di Netanyahu e tutte le possibili alleanze di governo

Yasha Reibman
In Israele i sondaggi sono stati traditi. Doveva essere la sconfitta del primo ministro Benjamin Netanyahu e la rivincita della gauche sionista tuttora orfana di Itzhak Rabin e dei padri nobili che hanno costruito il paese. E' stata la sconfitta della sinistra. Ecco i possibili scenari per la creazione del nuovo esecutivo.

In Israele i sondaggi sono stati traditi, ma i risultati elettorali oramai definitivi potrebbero lasciare spazio a sorprese quando si formerà il governo. Doveva essere la sconfitta del primo ministro Benjamin Netanyahu e la rivincita della gauche sionista tuttora orfana di Itzhak Rabin e dei padri nobili che hanno costruito il paese. E' stata la sconfitta della sinistra. I laburisti hanno fatto grandi passi avanti, ma non hanno sfondato; Isaac “Bougie” Herzog, figlio dei “Kennedy” israeliani, e l'alleata Tzipi Livni non hanno riportato il partito al centro del paese. Meretz, il partito del kibbutz e dei diritti civili, ha perso un terzo dei seggi e la segretaria Zehava Galon ha già dato le dimissioni.

 

E' stata la sconfitta di chi, pur alleato nel precedente governo, si è opposto al primo ministro Netanyahu in questi anni, primo tra tutti Yair Lapid, leader di Yesh Atid, uscito quasi dimezzato. E' stata la sconfitta dei partiti della destra più dura, Yachad non è nemmeno entrato nella Knesset, mentre Naftali Bennet e Avigdor Lieberman sono stati cannibalizzati dal climax che Netanyahu ha saputo creare nelle ultime settimane.

 

Hanno vinto gli arabi israeliani, che per la prima volta son riusciti a presentare una lista unita per non disperdere i voti, ma che da domani resteranno divisi tra loro e all'opposizione. Da ultimo, è stata la sconfitta del presidente degli Stati Uniti Barak Obama. Già ieri sera Netanyahu ha proclamato la vittoria, ma al risveglio il sorriso di Bibi e della moglie Sara, denigrata e attaccata a lungo nella campagna elettorale, è diventato ancora più largo. Eppure i dati dicono anche altro. La Knesset è formata da 120 deputati, Netanyahu dovrà ora riuscire a superare la soglia dei 61 per continuare a governare. Sulla carta i giochi sembrano fatti. Il Likud, il partito del premier, avrà 30 deputati, Bennet e Lieberman insieme occuperanno altri 14 seggi. Se anche Netanyahu volesse imbarcare i religiosi arriverebbe a 57.

 

Diventano allora decisivi Moshe Kahlon, leader di Kulanu (10 deputati), e Lapid (11 seggi). Lapid dovrebbe essere alternativo ai religiosi e, sebbene sia dato per scontato l'accordo, non è detto che Kahlon voglia dare il via libera a un governo molto spostato a destra, in cui finirebbe per ricoprire l'ala sinistra e dove si ritroverebbe con alleati con i quali è difficile trattare per le riforme economiche al centro del suo programma. Sebbene questa possibilità sia data dai bookmaker come remota, se Kalhon e Lapid si mettessero di traverso e si opponessero a dare il via libera alla "coalizione di destra", potrebbe aprirsi la strada alla grande coalizione con i laburisti. Una soluzione auspicata dallo stesso presidente di Israele, Reuven Rivlin. Si profilerebbe una stabilità maggiore, con la minor necessità di aver molti partiti coinvolti e con una larga maggioranza su cui contare. Questa soluzione potrebbe convenire a Kahlon e Lapid, che arriverebbero a rappresentare il centro nello schieramento governativo. Netanyahu sarebbe indebolito. Bennet e Liberman potrebbero restare fuori dal governo e riprendere i voti persi. Eppure, questa soluzione potrebbe anche essere segretamente desiderata dallo stesso Netanyahu, poiché gli permetterebbe di uscire dalla retorica elettorale senza doverla tradire platealmente e favorirebbe le relazioni internazionali con America ed Europa.

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