Donne afghane manifestano a Kabul per i loro diritti, a inizio settembre (LaPresse)

editoriali

Non mollare sulle donne afghane

Redazione

L’evacuazione da Kabul non era l’atto finale, ma l’inizio della campagna

Radio Radicale ha ottenuto grazie alla rete Donne per la salvezza e su iniziativa del media civico de Le Contemporanee i dati sul numero di donne salvate dagli italiani durante l’evacuazione di emergenza in Afghanistan. Milletrecento circa su un totale di più di cinquemila persone e nella stragrande maggioranza sono mogli e madri degli afghani messi in salvo. Anche contando che ci sono millequattrocento bambini, maschi e femmine, le proporzioni tra gli adulti non tornano. Sono molti più gli uomini che le donne. Inoltre c’è da considerare che le donne sono il primo obiettivo della repressione talebana, quindi se c’è una sproporzione dovrebbe essere nell’altro senso. Non è colpa della missione, perché per una donna da sola raggiungere l’aeroporto di Kabul attraverso i posti di blocco dei talebani e farsi mettere sulla lista degli evacuati era un’impresa impossibile durante i giorni di caos della capitolazione, ma è proprio qui il problema: c’è una parte vulnerabilissima della società afghana, la più esposta, la più in pericolo, che non si è potuta mettere in salvo ed è rimasta alla mercé dei talebani.

 

Sappiamo che prima o poi questa messinscena degli studenti islamisti per convincere la comunità internazionale di non meritare sanzioni economiche lascerà il posto alla loro visione delle cose, brutale e oscurantista. Ieri, per esempio, hanno annunciato la riapertura delle università per i maschi, ma non per le studentesse. In breve: se la missione serviva a tranquillizzarci le coscienze, i dati ci dicono il contrario. Abbiamo appena intaccato la superficie del problema, se vogliamo fare la differenza ci toccherà agire anche in altri modi. L’evacuazione affidata ai nostri militari non era il capitolo finale, era l’inizio di una campagna che non ci si può permettere di trascurare.

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