EDITORIALI

Evitare la sindrome Trichet in Bce

Redazione

Perché l’aumento dell’inflazione non è una buona ragione per alzare i tassi

Il 3 luglio 2008 Jean-Claude Trichet, allora presidente della Banca centrale europea, aumentò i tassi d’interesse al 4,25 per cento, il massimo da sei anni. Il rialzo fu motivato con l’aumento dell’inflazione, che nell’Eurozona aveva raggiunto il 4 per cento trainata soprattutto dall’energia. “L’inflazione è preoccupante” spiegò il banchiere francese “mentre le prospettive economiche sono solide e i fondamentali buoni”. Nell’immediato ne derivò un divario nel costo del denaro del 2,25 per cento tra Europa e Usa visto che la Federal Reserve aveva lasciato i tassi immutati. E la Fed era stata prudente poiché era esplosa la bolla dei mutui subprime (i prestiti a pioggia delle banche per finanziare i mutui), che culminerà il 15 settembre di quell’anno nel crac Lehman Brothers. Fallimento che a sua volta costringerà tutte le banche centrali a invertire la rotta con iniezioni di liquidità, e che poi porterà a galla in Europa la crisi dei debiti sovrani, a partire dalla Grecia.

All’epoca Bce e Fed non disponevano di mentalità e strumenti quali quelli visti nel decennio successivo e fino a oggi. Ma una cosa apparì già certa: Trichet e la Bce commisero un errore madornale sovrastimando il rischio temporaneo dell’inflazione senza analizzare le magagne della finanza e le conseguenze sull’economia reale. Ora che nell’area euro l’inflazione risale al 3 per cento, principalmente per il rimbalzo post pandemia, la Bundesbank e i paesi frugali chiedono che la Bce torni a politiche restrittive. Si ripeterebbe l’errore del 2008, non guardare oltre l’immediato e non scorgere il cigno nero in arrivo: allora la finanza drogata americana e i deficit facili europei, oggi il rallentamento o blocco di forniture di materiali essenziali all’industria (la supply chain), dove le danze sono condotte dalla Cina. Non ci sono evidenze che la Bce inizi a ridurre gli stimoli monetari. Mentre è giusto che, come già le altre istituzioni europee, controlli che i governi li utilizzino per politiche economiche attive e investimenti uscendo dalla logica degli aiuti assistenziali.

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