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Cronistoria della manovra: Com'è partita e com'è arrivata
Una manovra più grossa del previsto, ma con lo stesso principio: tenere buoni i mercati e distribuire bonus mirati, mentre la crescita resta ferma
Oggi il Parlamento ha varato in via definitiva la legge di Bilancio 2026, dopo una corsa contro il tempo per approvare il testo entro il 31 dicembre. La manovra, che nella versione “bollinata” proposta a ottobre dal governo valeva circa 18 miliardi di euro (vedi Il Foglio del 23 ottobre) è lievitata durante l’iter parlamentare fino a circa 22 miliardi, grazie a un maxi-emendamento che ha aggiunto risorse per alcune misure chiave.
Ripercorrendo la cronistoria, il disegno di legge uscito dal Consiglio dei ministri a metà ottobre tracciava una manovra che la stessa premier Meloni definì “seria e prudente, in linea con la traiettoria di mantenere il deficit sotto il 3 per cento”, sottolineando le priorità: sostegno a famiglie e imprese, riduzione delle tasse e finanziamento della sanità.
Per rispettare i vincoli di bilancio, molte promesse sono rimaste nel cassetto e alcuni settori hanno inizialmente ricevuto meno del previsto. Confindustria, ad esempio, aveva chiesto un “piano straordinario” da 8 miliardi l’anno per tre anni (24 miliardi totali) a favore dell’industria, ma il governo ne ha stanziati soltanto 8 in tutto il triennio – un terzo del richiesto (vedi Il Foglio del 18 ottobre 2025). La manovra con una mano dava e con l’altra toglieva: i fondi extra alle imprese sono stati in parte compensati da tagli e definanziamenti altrove (rimodulazione del Pnrr), tanto che il saldo netto per le aziende risultava inizialmente quasi nullo (vedi Il Foglio del 21 ottobre 2025 e Il Foglio del 17 ottobre). Gli industriali, dopo aver protestato per il “braccino corto” del ministro Giorgetti, hanno evitato strappi: il presidente di Confindustria Emanuele Orsini si è persino detto “soddisfatto” che le richieste siano state ascoltate (vedi Il Foglio del 23 ottobre), pur a fronte di numeri modesti. Nella proposta della legge di Bilancio, osservava ironicamente Luciano Capone, “ci sono più risorse per le pensioni che per le imprese, ma i pensionandi protestano e gli industriali applaudono” – segno di un approccio più collaborativo (o rassegnato) da parte dei corpi intermedi verso il governo Meloni.
Allo stesso modo, anche il sistema bancario e il mondo del lavoro hanno scelto la via della concertazione anziché dello scontro frontale. Le banche, oggetto di un significativo aumento di tassazione con un prelievo da 4,5 miliardi nel 2026 e 11 miliardi sul triennio tra Irap (la tassa più odiata dal Cav., vedi il Foglio del 18 ottobre) e altri contributi, hanno accettato il conto senza battaglie campali. Giorgia Meloni in conferenza stampa ha addirittura ringraziato gli istituti di credito e assicurativi per l’“importante contributo” dato alla manovra, spiegando che non c’era intento punitivo ma la necessità di coinvolgerli nello sforzo comune. Anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, durante la stessa conferenza stampa, ha ammesso che alcune misure (come l’Irap maggiorata) sono state digerite “non proprio di buon umore” dai banchieri, ma giudicate sostenibili dato che il settore è solido e profittevole.
Sul versante opposto, i sindacati confederali hanno evitato agitazioni clamorose. Per la prima volta la Uil ha scelto di non proclamare scioperi generali insieme alla Cgil, nonostante la manovra destini ai lavoratori molte meno risorse rispetto a precedenti leggi di Bilancio (vedi il Foglio del 23 ottobre). Questa sorprendente pace sociale attorno a una finanziaria “austera” è stata un successo politico di Meloni: una “piccola” manovra da 18 miliardi, la metà della prima della legislatura, realizzata senza temere contraccolpi da parte di partiti e interessi organizzati.
Durante l’esame parlamentare, comunque, il governo ha dovuto apportare correzioni importanti per andare incontro alle richieste emerse e alla sua stessa maggioranza. L’orientamento del governo è stato quello delineato soprattuto da Giorgetti. Il ministro ha mantenuto il deficit sotto controllo e ha rassicurato i mercati, che infatti hanno premiato l’Italia con spread in calo e rating stabili (vedi il Foglio del 24 dicembre). Lo stesso Giorgetti che, proprio intorno alla vigilia di Natale, è finito sotto il fuoco amico: il problema sostanziale è che non c’è crescita. L’economia italiana viaggia sempre intorno allo zero virgola e, di conseguenza, non ci sono risorse da distribuire. Così l’austerità si è fatta sentire aumentando le tensioni nella maggioranza, che si sono poi scaricate su Giorgetti. Come ha commentato al Foglio il direttore scientifico dell’Osservatorio Cpi, Giampiero Galli, "Bene che abbia prevalso la linea di Giorgetti. Ma le vere misure per favorire la crescita erano e sono nel Pnrr, non in manovra" (vedi il Foglio del 23 dicembre).
Alla fine, il maxi-emendamento approvato in Senato (con fiducia) a ridosso di Natale ha aumentato di circa 3 miliardi il valore della manovra, portandolo intorno ai 22 miliardi totali (vedi il Foglio del 23 dicembre).
Sul fronte fiscale, viene confermato il taglio dell’Irpef per il ceto medio: dal 2026 la seconda aliquota scende dal 35 al 33 per cento per i redditi fino a 50 mila euro. Inoltre, per favorire i rinnovi contrattuali, si introduce una tassazione agevolata del 5 per cento sugli aumenti di stipendio nei nuovi contratti collettivi firmati nel 2024-26 (fino a 33 mila euro di reddito). Queste misure, insieme al mini-taglio del cuneo fiscale già in vigore, puntano a sostenere i lavoratori dipendenti e a rilanciare i salari in un periodo di inflazione (vedi il Foglio del 6 Novembre “La verità sulla politica fiscale redistributiva di Meloni e Giorgetti”).
Sul fronte delle imprese, il governo ha risposto in parte alle pressioni di Confindustria potenziando gli incentivi agli investimenti (vedi il Foglio del 16 dicembre). Viene rifinanziatoe esteso fino al 2028 il superammortamento (ora iper-ammortamento) per l’acquisto di beni strumentali nuovi, insieme a fondi aggiuntivi per il credito d’imposta Transizione 5.0 (circa 1,3 miliardi) e per le Zone economiche speciali. Grazie a queste integrazioni, il pacchetto complessivo a favore delle aziende nel triennio sale a circa 15 miliardi, non lontano da quanto annunciato dalla premier Meloni in Senato dopo gli emendamenti.
Sul piano della spesa sociale, la maggioranza ha scelto di contenere i costi delle misure pensionistiche (vedi il Foglio del 26 dicembre “Verba volant, Fornero Manent. Cosa cambia per le pensioni nel 2026 secondo l'ultima manovra”). Non è stata prorogata Opzione Donna e sono stati ridotti i fondi per i pensionamenti anticipati dei lavoratori precoci e usuranti. In compenso è previsto un parziale adeguamento all’inflazione delle pensioni minime, ma complessivamente il capitolo previdenza subisce una stretta.
Anche altre voci hanno subito modifiche. Per esempio è stata ritoccata la cedolare secca sugli affitti brevi che resta al 21 per cento sul primo immobile, ma include la presunzione di attività d’impresa, con partita Iva e adempimenti conseguenti (vedi il commento sul Foglio del 23 dicembre da parte del presidente di Confedilizia). E, per reperire entrate aggiuntive, il governo ha deciso un aumento delle accise su carburanti e tabacchi (un colpo da oltre 500 milioni sui carburanti e 200 milioni sulle sigarette).
Queste modifiche dell’ultima ora hanno ridisegnato la manovra rendendola un po’ più espansiva (e attenta alle imprese), seppur entro margini strettissimi. Nel complesso, la legge di Bilancio 2026 arriva al traguardo confermando l’impostazione di fondo del governo Meloni: rigore nei conti pubblici. La maggioranza ha di fatto rivendicato i risultati di questo approccio: Maurizio Gasparri di Forza Italia ha sostenuto in Aula che grazie a questa manovra l’Italia “uscirà dalla procedura d’infrazione europea” sul deficit, definendolo un risultato storico, e ha ricordato con enfasi il taglio del cuneo fiscale e i contratti pubblici rinnovati dal governo (vedi il Foglio del 23 dicembre).