Foto ANSA
Editoriali
La crisi più dolorosa per Elkann: la Ferrari
Dopo il piano industriale, il Cavallino è crollato in borsa. Numeri e mito
Si parla molto delle cose che non vanno bene nella galassia Elkann. Si parla di Stellantis, delle difficoltà industriali, delle tensioni politiche, delle incertezze strategiche. Si parla molto di giornali, naturalmente. Si parla meno di ciò che dovrebbe andare sempre bene, quasi per definizione. E cioè della Ferrari. Che nel mondo Exor non è solo un gioiello, ma il pilastro: all’inizio del 2025 la sua capitalizzazione aveva toccato livelli prossimi ai 90 miliardi di euro, diventando di gran lunga l’asset più prezioso del portafoglio. Ed è proprio lì che, quest’anno, qualcosa ha smesso di funzionare. Il 2025 di Ferrari in Borsa è stato un anno di bruschi risvegli. Dopo anni di crescita sostenuta, il titolo ha perso oltre il 20 per cento, bruciando decine di miliardi di valore. Non per un crollo dei conti – i ricavi restano oltre i 7 miliardi di euro, la redditività operativa è tra le più alte al mondo e i margini restano superiori al 25 per cento – ma per un cambio improvviso di percezione. Il punto di svolta è stato il piano industriale. Doveva rafforzare la fiducia, ha invece ridimensionato le aspettative.
Il piano ha messo nero su bianco ciò che il mercato preferiva non vedere: investimenti per oltre 4 miliardi di euro nei prossimi anni, una crescita delle consegne più contenuta, un percorso di elettrificazione più prudente del previsto. Ferrari produce circa 13.700 auto l’anno e su quella scarsità ha costruito una valutazione da azienda tech. Ma quando la crescita rallenta e i costi aumentano, anche il lusso smette di sembrare infinito. C’è poi la Formula 1, che pesa poco nei bilanci ma moltissimo nella narrazione. Zero titoli mondiali dal 2008, un’altra stagione senza svolta tecnica, un’attesa che si allunga. Ogni anno senza vittorie consuma un capitale simbolico che la Borsa, prima o poi, trasforma in sconto. Il paradosso è tutto qui: Ferrari resta l’asset che dovrebbe tenere in piedi Exor, ma è proprio Ferrari che nel 2025 ha iniziato a segnalare un problema. Non una crisi industriale, ma la fine di un’eccezione. Il mercato non paga più il mito in anticipo. Vuole numeri che crescano quanto le promesse. E quest’anno, per la prima volta dopo molto tempo, le promesse hanno corso più veloci dei risultati.