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l'analisi

Il paese del risparmio: gli italiani consumano poco e investono meno

Dario Di Vico

Secondo l'Abi ci sono 1.860 miliardi fermi nelle banche, consegnati da famiglie e imprese. La scarsa tendenza agli investimenti mostra una insufficiente cultura finanziaria: anche un investitore prudente, infatti, quest'anno avrebbe goduto di un ritorno di almeno il 10 per cento

Roma. I parcheggi del denaro sono strapieni. L’Associazione bancaria italiana (Abi) ha appena reso noto che i depositi bancari a novembre 2025 hanno raggiunto livelli record (il punto massimo degli ultimi 5 anni) che non erano stati toccati nemmeno nella fase immediatamente successiva alla pandemia. Stiamo parlando di 1.860 miliardi consegnati da famiglie e imprese. È dal 2024 che lo stock di denaro fermo presso gli istituti di credito è in crescita ma a ottobre era cresciuto del 2,7 per cento e a novembre di un altro 2,4. Il tasso sui conti correnti, informa l’Abi, è rimasto stabile allo 0,28 per cento che però è una media e di conseguenza la massa dei clienti-famiglia che ha sul conto 5 o 10 mila euro di fatto prende quasi niente.

È chiaro che questi numeri riflettono una condizione di incertezza generale, ma è interessante valutarli anche a proposito del dibattito in corso sul ceto medio. Le conseguenze del parcheggio sono palesi: i consumi non decollano e gli investimenti tanto meno. La povertà, sappiamo, che specie al nord aumenta e cresce anche l’occupazione. Come si compone allora il puzzle della società italiana? La propensione al risparmio cresce e una fetta consistente di connazionali lascia il surplus sul conto corrente. I nuovi posti di lavoro, anche se pagati poco, contribuiscono comunque ad alzare il reddito familiare (e a favorire il risparmio) ma il complesso della società italiana è molto polarizzato e attraversato – come il ceto medio – da fenomeni di segno opposto. Le imprese, dal canto loro, dei 1.860 miliardi di cui abbiamo parlato sono titolari di almeno un quarto e alla fine, nel 2024, hanno preferito tenere i soldi sul conto corrente piuttosto che investire in macchinari e tecnologie. Colpa certo delle lungaggini e delle complicazioni di Transizione 5.0, tormentone dell’anno, ma il risultato è questo e se non siamo allo sciopero degli investimenti poco ci manca.

Secondo Marco Mazzucchelli, banchiere internazionale, i dati dell’Abi suonano anche come l’ennesima conferma della scarsa cultura finanziaria del risparmio italiano, che così ha la sola certezza di veder eroso il proprio capitale: “La stessa nostra consuetudine a usare la parola risparmio piuttosto che investimenti la dice lunga sulla matrice conservativa con la quale gestiamo il denaro”. I mercati finanziari in questi anni sono cresciuti quasi sempre a doppia cifra e se un risparmiatore, anziché lasciare i soldi sul conto corrente, avesse investito anche prudenzialmente avrebbe comunque goduto di un ritorno di almeno il 10 per cento. “Gli italiani purtroppo continuano a sprecare occasioni” aggiunge il banchiere. E a poco vale richiamare la situazione geopolitica o altre variabili. Riguardo le imprese Mazzucchelli nota come siano “cash rich” e che preferiscano tenersi liquidi piuttosto che ricorrere all’indebitamento bancario. Poi commenta: “In questo è difficile dar loro torto perché le banche prestano solo alle grandi imprese”. Ma l’altra faccia della medaglia è il ciclo basso degli investimenti in una stagione in cui le discontinuità tecnologiche chiamerebbero rinnovamento e modernizzazione. E in questo braccino corto Mazzucchelli vede anche nelle imprese “lo specchio dei comportamenti delle famiglie”. Difensivi ma perdenti.

Alberto Baban, imprenditore e guida della Fondazione Nord-est, giudica il 2024 “come l’anno peggiore degli investimenti” e dà la colpa ai tentennamenti governativi sugli incentivi per la transizione digitale. “Ora si stanno esaurendo anche altri filoni come quelli legati all’ecobonus o al Pnrr” sottolinea Baban. La speranza perché le imprese la smettano di tenere i propri miliardi parcheggiati sui conti correnti bancari risiede nell’iper-ammortamento stile Industria 4.0 che sta per essere varato nella manovra di fine anno. Ma Baban scommette anche sulla fine del conflitto Russia-Ucraina che giudica addirittura un “booster”. Senza far alcuno sfoggio di cinismo imprenditoriale, Baban guarda con attenzione “alle trattative in corso” perché una pace giusta, a suo dire, può dare spazio alla ricostruzione infrastrutturale dell’Ucraina. “Il mercato è debole ma aspetta un elemento di shock e questi fenomeni vanno letti in anticipo. Non ultimo per gli effetti che possono avere anche sul mercato della manodopera. La ricostruzione dell’Ucraina avrà bisogno di uomini e ridisegnerà persino i flussi che partono ad esempio dalla Romania e dalla Moldavia e che riguardano anche il nostro Nord-est” conclude Baban.

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