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Economia e non solo. Le lezioni che i greci possono dare all'Italia

Mariarosaria Marchesano

L’irruzione di Kyriakou nell’editoria italiana non è un’operazione casuale: si inserisce nel nuovo protagonismo di una Grecia passata dall’orlo del baratro alla guida economica dell’Eurozona. Un contesto che rende indigesto ogni golden power e spiega perché l’armatore-editore possa non dispiacere poi così tanto a Palazzo Chigi

I greci che nessuno ha visto arrivare. Nonostante se ne parli da mesi, la possibilità che Antenna Group del magnate Theodore Kyriakou diventi editore di due dei maggiori quotidiani italiani, Repubblica e Stampa, messi in vendita da Gedi-Exor, ha suscitato grande allarme nelle redazioni e, a quanto sembra, una certa apprensione anche nel governo Meloni al punto che Ignazio La Russia si è proposto come “mediatore”. Ieri, dopo un incontro con il sottosegretario all’Editoria, Alberto Barachini, il gruppo Gedi ha annunciato che “approfondirà” la trattativa con Antenna a cui ha concesso un’esclusiva. Ma ha anche ribadito che questa è la migliore “garanzia” per l’indipendenza e l’occupazione.

Certe operazioni non avvengono a caso e per cercare di capire questa storia si deve allargare lo sguardo a un contesto più generale. A fare da leva al dinamismo di Kyriakou, le cui mire in Italia, secondo indiscrezioni non confermate si estendono ad alcune emittenti televisive, è il ritrovato orgoglio di un paese come la Grecia, che una quindicina d’anni fa stava per saltare in aria (in senso metaforico) e che, dopo aver accettato la cura da cavallo imposta dall’Unione europea, ora ha grande sete di riscatto. Kyriakou coglie così un momento favorevole. Anche se non si sa perché mai voglia mettere piede in Italia, tanto più diventando proprietario di due giornali che non sono certo teneri con il governo di centro-destra, in particolare modo la Stampa, che a Palazzo Chigi è considerata una spina nel fianco, il magnate sa di poter contare sulla solidità di un gruppo con interessi diversificati (navi, media, immobili, finanza), ma anche sulla rinnovata immagine del suo paese in Europa. Il ministro dell’Economia greco, Kyriakos Pierrakakis, è stato appena eletto presidente dell’Eurogruppo, l’organismo che coordina la politica dei ministri delle finanze dell’Eurozona, scalzando nel finale il collega belga Vincent Van Peteghem. Tra il candidato di un paese “periferico” e quello di un “frugale” ha vinto il primo, che si è impegnato a realizzare l’unione del risparmio e degli investimenti, la trasformazione digitale e ad affrontare la questione demografica. In pratica, l’agenda Draghi-Letta. E poche settimane fa il governatore della banca centrale greca, Yannis Stournaras, ha ritirato in Italia il premio assegnato dall’Istituto Bruno Leoni per i grandi passi in avanti fatti dai tempi della crisi finanziaria e per avere intuito più di altri l’importanza di un’Europa unita sotto il profilo bancario e dei capitali. Infatti, l’accoglienza quasi entusiastica riservata a Unicredit che sta scalando una delle prime banche della Grecia, Alpha Bank, non è frutto del caso: risponde a una strategia di apertura agli investimenti esteri e consente un gioco di sponda con i vertici dell’Ue per arginare i rigurgiti di sovranismo e nazionalismo sulla strada verso l’unione finanziaria.

Quando il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, ricorda che la Grecia è passata dall’orlo del baratro alla guida “del consiglio dei ministri economici dei paesi più sviluppati del continente”, sta indicando nuovi rapporti di forza. Non si può non tenere conto di questo scenario nella compravendita tra Gedi a Kyriakou. Per quanto possa apparire inusuale come operazione, si inquadra in un contesto di relazioni con un paese europeo amico dell’Italia che renderebbe quanto meno indigesto per Bruxelles il ricorso al golden power da parte del governo italiano, come la stessa redazione di Repubblica sembra auspicare. Ma forse non succederà se è vero, come ha rivelato Carlo De Benedetti nell’intervista di ieri a questo giornale, che Kyriakou non dispiaccia poi così tanto a Giorgia Meloni. E qua comincia un altro pezzo della storia. Nei salotti torinesi c’è grande delusione per il fatto che la ricca imprenditoria e borghesia piemontese non sia riuscita a esprimere (modello Marchi nel nord-est) una cordata per rilevare la Stampa con cui da sempre c’è un rapporto di identificazione. “I soldi ci sono, ma è come se – confida al Foglio un osservatore bene informato – nessuno si volesse esporre, pur avendo a cuore lo storico giornale, temendo di fare un torto al governo”. Allora Kyriakou è vicino alla premier? “Elkann avrà sicuramente individuato nella sterminata rete di relazioni internazionali della sua famiglia il compratore migliore per lui assicurandosi che non fosse sgradito al governo”. L’armatore-editore greco ha solide relazioni anche con gli Stati Uniti (è membro del comitato consultivo dell’Atlantic Council e siede nel consiglio di amministrazione della Georgetown University). Ma c’è un neo: la collaborazione con i sauditi avviata dal suo gruppo Antenna per una piattaforma tv a Riad. I giochi sembrano ormai fatti, ma non si può mai sapere.

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