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Il colloquio
Produzione industriale ancora in calo, l'Italia a due facce. Parlano Petretto e Poma
L’ennesimo down congiunturale conferma la contrazione del manifatturiero e la polarizzazione tra pochi campioni e molte imprese in affanno, mentre il paese scivola verso un terziario di bassa qualità senza una vera politica industriale
Nel mese di ottobre la produzione industriale in Italia è continuata a calare, consolidando la discesa che si è innescata a partire dal 2023, dopo gli anni del grande rimbalzo post Covid. Secondo l’Istat, l’indice destagionalizzato del mese è sceso dell’1 per cento rispetto a settembre con un calo che su base annua è dello 0,3 per cento, contro le previsioni di mercato di un aumento dello 0,2 per cento. E nella media del trimestre agosto-ottobre di quest’anno il livello della produzione industriale è diminuito dello 0,9 per cento rispetto al trimestre precedente.
Se anche la contrazione del 2025 dovesse risultare complessivamente meno forte del dato tendenziale degli ultimi due anni (-2 per cento nel 2023 e -4 per cento nel 2024), è innegabile che la bassa crescita del paese è dovuta a anche un sistema manifatturiero che si sta contraendo. Come spiega al Foglio l’economista Alessandro Petretto, “stiamo svoltando verso un terziario di bassa qualità piuttosto che investire in settori ad alta tecnologia e valore aggiunto”.
Dai dati Istat di ottobre sulla produzione industriale, si vede una accentuata polarizzazione tra settori. Gli incrementi tendenziali maggiori si sono registrati nell’attività estrattiva (+5,2 per cento), nella metallurgia (+2,7 per cento) e nei prodotti in gomma e plastica (+2,1 per cento), mentre le flessioni più ampie riguardano i prodotti chimici (-6,6 per cento), l’industria tessile, pelli e accessori (-5 per cento) e la fabbricazione di coke e beni petroliferi raffinati (-4,6 per cento). “Da questo quadro – dice Petretto, che è coautore di uno studio dell’Istituto universitario europeo (Eui) sui temi della reindustrializzazione che, partendo dal caso della Toscana, allarga lo sguardo a Italia ed Europa – si capisce che quelli che stanno andando peggio sono le imprese di comparti che assorbono maggiore manodopera e questo rende l’impatto sui territori ancora più forte”.
Nei giorni in cui deve essere approvata la quarta manovra economica del governo Meloni, che, secondo un’opinione diffusa, dedica molta attenzione all’equilibrio dei conti pubblici e distoglie lo sguardo dallo sviluppo economico, il dato Istat conferma che l’Italia avrebbe bisogno di un’attenta politica industriale. “Questo governo non ha una visione come non ce l’avevano gli esecutivi precedenti – riflette Lucio Poma, capo economista di Nomisma –. Ma io direi che bisogna andare oltre il dato mensile della produzione industriale, di per sé molto volatile, e guardare il quadro di insieme che è ben più complesso. Nel sistema industriale italiano si è creata una forte asimmetria tra settori e, all’interno dello stesso settore, tra tipologie di aziende. Molte sono dei veri e propri campioni, che continuano ad andare a gonfie vele anche quando operano in comparti come l’automotive e il tessile, che stanno avendo dei problemi. E’ come vedere un giano bifronte: da una parte, le imprese che hanno sempre meno ordini e fanno lavorare poco gli impianti, e dall’altra le aziende sempre più forti anche sui mercati esteri. E questo spesso avviene all’interno della medesima filiera manifatturiera. Prima non era così in Italia: la congiuntura economica rifletteva una maggiore omogeneità del tessuto imprenditoriale”.
Insomma, è come se l’assetto produttivo del paese fosse diventato tanto eterogeneo e questo spiega perché i vari choc economici, dalle pandemie alle guerre, dalla crisi energetica all’inflazione, colpiscono in modo differenziato. “I dazi di Trump, per esempio – prosegue Poma - li stanno pagando gli americani che continuano a comprare made in Italy, vestiti, barche, auto, anche a prezzi maggiorati. Questo, però, non avviene con il tessile di media-bassa gamma dove il prezzo fa la differenza. Voglio dire che il calo della produzione industriale non è un fenomeno generalizzato ma selettivo: le imprese deboli si stanno indebolendo sempre di più e quelle forti si stanno rafforzando. Per questo servirebbero politiche industriali mirate”. Per esempio? “L’assetto produttivo dell’Italia è basato sulle filiere e questo è un vantaggio perché consente di esportare beni finiti – conclude l’economista –. Una politica economica lungimirante dovrebbe incentivare l’effetto trascinamento delle aziende capo filiera nei confronti della base produttiva. Sarebbe di stimolo alla crescita economica del paese. Ma occorre una visione di lungo periodo poiché i frutti di questi interventi si raccolgono dopo qualche anno e non seguono il ciclo elettorale”.
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