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Da Gedi a Warner Bros. Il solito triangolo magico per il controllo dei media

Stefano Cingolani

Denaro, politica, informazione. Che si tratti di intrattenimento americano o di editoria italiana, da qui non si scappa

Denaro, politica, informazione è il triangolo magico che emerge in ogni battaglia per il controllo di un mezzo di comunicazione di massa. Sull’una e sull’altra sponda dell’Atlantico sono in corso operazioni che hanno molto in comune al di là della loro evidente differenza: negli Stati Uniti la battaglia tra Paramount da un lato e Warner Bros più Netflix dall’altro, in Europa il disimpegno del gruppo Exor guidato da John Elkann che ha deciso di abbandonare l’editoria italiana. Certo, stiamo parlando di watussi e pigmei, ma colpiscono le somiglianze. Cominciamo dal denaro. Negli Stati Uniti sono in ballo cento e più miliardi di dollari, in Europa di parla di circa duecento milioni di euro. Ma in entrambi i casi troviamo capitali arabi. Paramount fa capo a David figlio di Larry Ellison, il fondatore di Oracle, uno dei pionieri della rivoluzione digitale, ormai ottantenne, vecchio amico di Donald Trump. David è sostenuto da Jared Kushner il quale ha portato con sé gli amici del Golfo, i fondi sovrani di Qatar, degli Emirati e soprattutto dell’Arabia Saudita dove tutti gli affari fanno capo all’uomo forte della casa regnante, MbS alias Mohammed bin Salman che troviamo anche accanto a colui al quale con molta probabilità Elkann venderà la Repubblica con annesse e connesse le radio: cioè Theo Kyriakou il rampollo della famiglia di grandi armatori che guida il gruppo editoriale Antenna. Apriti cielo, è bastata questa voce per scatenare un putiferio geopolitico. La Gedi ha precisato che se andrà in porto, Antenna avrà il cento per cento, resta il fatto che MbS figura tra i soci di Kyriakou a sua volta amico degli emiri del Golfo.

 

                              

Il denaro ci porta subito alla politica. Tump è interessato a mettere in mani amiche la Warner Bros perché porta con sé la catena televisiva più prestigiosa nel mondo dell’informazione, la Cbs del mitico programma “60 Minutes”, che anche la più anti trumpiana. Ci sarebbe pure la Cnn, ma probabilmente verrebbe scorporata. Nel caso di Gedi sia la Repubblica sia la Stampa (sia pur con toni diversi) sono apertamente ostili al governo Meloni e ciò ha attirato fulmini e saette su Elkann impegnato “a coprire a sinistra la vendita a pezzi” delle aziende italiane del gruppo, secondo Carlo Calenda. Liberarsi dei giornali sarebbe una liberazione anche dalla ipoteca politica. Guai a sottovalutare la capacità di formare l’opinione e non solo di informare da parte dei media tradizionali. Attenzione però alle svolte repentine della linea politico-editoriale: possono svuotare il bacino di audience, ciò vale sia per le tv sia per i giornali.

E dove sta la strategia industriale? Larry Ellison si è coperto col cappello della concorrenza: con Warner più Netflix si crea un monopolio a Hollywood. Con Paramount sarebbe peggio, anche se c’è sempre Disney. In ogni caso suo figlio voleva mettere insieme due colossi storici molto tradizionali, con tv in chiaro e film girati secondo la cultura degli studios. Warner più Netflix al contrario fonde il vecchio e il nuovo, l’etere e lo streaming, lo studio e internet. La logica industriale di Ellison è dunque debole e tradisce troppo apertamente il controllo dell’informazione.

Quanto a Gedi, le cose sono ancor più confuse. La Stampa potrebbe andare alla cordata di imprenditori veneti guidata da Enrico Marchi, la stessa che ha già acquistato dalla Gedi i giornali locali delle Tre Venezie. Si crea così un grande gruppo editoriale del nord (all’est come all’ovest) che fa concorrenza al Corsera (più Gazzetta) di Urbano Cairo. Il pluralismo è salvo, anzi rafforzato. Elkann non vende a Del Vecchio junior e dice che vuol sostenere il pluralismo, ma che cosa voglia fare Kyriakou non è noto. Anzi non sappiamo nemmeno perché gli possa interessare in Italia il principale quotidiano di opposizione. Per allinearlo al governo? Il nipote di Csenofonte, il partigiano comunista che ha fondato l’impero armatoriale, non ha mai espresso chiare posizioni politiche. Il padre Minos invece non possedeva giornali, a differenza da altri armatori greci, perché, così disse, le sue convinzioni democratiche glielo impedivano. On y soit qui mal y pense.

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