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Il Colloquio

Lezioni da Madrid: il vero sorpasso economico è sulla produttività. Parla Galli (Cpi)

Davide Mattone

Secondo l'analisi dell'Osservatorio Cpi, l'aumento dell'output per ora lavorata e l'attrazione di i capitali spagnoli ed esteri spiegano la velocità della crescita iberica. Intanto Roma resta impantanata tra burocrazia, caro-energia e pochi investimenti

In Spagna succede qualcosa che in Italia avrebbe dell’incredibile: l’economia accelera mentre la politica inciampa. Lo dicono i numeri dell’Osservatorio Conti pubblici italiani (Cpi): dal 2019 il pil spagnolo è salito del 9,8 per cento contro il 6,5 italiano, e per il 2025 la Commissione prevede una crescita del 3 per cento per Madrid contro lo 0,4 per Roma.

Sul versante politico il quadro spagnolo è tutto fuorché idilliaco, eppure il pil continua a fare il suo mestiere. Il governo Sánchez (soprav)vive di compromessi, è logorato da scandali che hanno coinvolto la famiglia del premier e il vertice del Partito socialista, e da due anni governa prorogando la legge di bilancio del 2023. L’ultimo tentativo di avviare un nuovo bilancio è stato respinto dal Congreso e in molti sondaggi il Partito popolare è davanti. La domanda è inevitabile: perché loro crescono e noi no?

“Se andiamo a cercare la causa ultima della crescita, dobbiamo guardare alla produttività per ora lavorata” commenta al Foglio Giampaolo Galli, direttore scentifico dell’Osservatorio. L’analisi del Cpi, firmata da Gianmaria Olmastroni, mostra che non è una questione di ore lavorate in più o di numero di occupati, quanto piuttosto di sistema produttivo nazionale. Il totale delle ore lavorate è cresciuto più da noi ma la produttività oraria spagnola è salita del 2,1 per cento mentre in Italia è scesa del 2,5. In Spagna le ore per lavoratore sono diminuite, in Italia sono aumentate.

Molti hanno visto nell’aumento dell’immigrazione il pilastro della crescita iberica, ma Galli è più cauto: “L’immigrazione è utile, certo, ma non è stata decisiva negli ultimi anni. In Spagna gli aumenti di produttività sono stati usati in parte per stimolare crescita, e in parte per la riduzione dell’orario di lavoro. L’immigrazione ha permesso di compensare quel calo e mantenere la crescita. Ma il punto chiave resta la capacità di attrarre capitali, spagnoli ed esteri, e di usarli bene, a partire dai fondi europei”.

Su questo si innesta la scelta del governo spagnolo di rinunciare al 75 per cento circa dei prestiti del Recovery fund dell’Ue. Il ministro dell’Economia Carlos Cuerpo ha spiegato che lo stato può finanziarsi da solo a condizioni migliori, e che “finanziariamente non c’è vantaggio ad andare su quei prestiti”. Discorso opposto a quello del ministro Giancarlo Giorgetti, che aveva spiegato che il dirottamente dei fondi del Pnrr come copertura per la manovra servisse a finanziarsi a tassi più bassi rispetto ai Btp. Galli, al riguardo, aggiunge: “Il tasso dei bond del Pnrr è molto vicino a quello spagnolo e non è davvero un tasso risk free, perché non è ancora chiaro con quali risorse verrà ripagato il debito comune”.

Quando il discorso torna sull’Italia, il tono dell’economista cambia: “Come tutti i fenomeni sociali, quello della mancata crescita non ha una causa unica ed è un fenomeno complesso. Vi sono numerosi motivi che tengono lontani gli investitori italiani ed esteri: una burocrazia che rimane molto inefficiente nonostante qualche passo avanti fatto grazie al Pnrr, una giustizia lentissima, la dimensione ridotta delle imprese, e più corruzione che in Germania o in Francia. Nel frattempo l’energia costa molto meno in Spagna: per le famiglie italiane la bolletta è più alta del 16 per cento, per le piccole e medie imprese artigiane addirittura del 42 per cento”. Un divario enorme che si traduce in un handicap competitivo permanente.

E poi c’è il debito pubblico, che non terrorizza i mercati finanziari ma scoraggia chi deve investire con un orizzonte di venti o trent’anni, dice Galli: “La spesa per interessi è molto alta, e non ci si può permettere di aumentare la spesa perché il debito va messo su una traiettoria discendente. Mancano fondi per finanziare istruzione e ricerca, motori della crescita”. Il punto dolente, per Galli, è che “bisognava e bisogna ancora credere davvero al Pnrr e ai suoi obiettivi. Nel piano c’è scritto “merito”: nella scuola, nella pubblica amministrazione e nella giustizia, ma nelle carriere prevale l’anzianità, con valutazioni meritocratiche quasi inesistenti. Nelle università la Spagna è riuscita a costruire poli di eccellenza e un ponte stabile tra ricerca e imprese; in Italia facciamo più fatica e una parte del mondo accademico diffida ancora di quella collaborazione”.

La Spagna sta dove sta perché ha lavorato su produttività, investimenti e istituzioni. L’Italia non è condannata, ma deve decidere cosa fare da grande.

 

 

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