Foto Ap, via LaPresse
in Argentina
Come va il modello Milei
Il 2026 sarà l’anno della resa dei conti: El Loco scommette tutto sulle bande del cambio e sul ritorno ai mercati
Dissipato tutto il rumore (e il rischio) politico, e dopo alcune conferme e ricalibrature nel modello economico, è il momento di chiederci – dalla prospettiva del governo di Javier Milei – come continua questo percorso e quali sono le condizioni affinché risulti sostenibile nel tempo (cioè, evitare un salvataggio finanziario ogni sei mesi).
Per farlo, dobbiamo partire dal fatto che la squadra economica ha confermato che le bande di oscillazione del tasso di cambio resteranno invariate. Nonostante i dubbi esistenti (soprattutto dopo aver toccato il limite superiore prima delle elezioni) e sebbene molti analisti, compresi diversi vicini a La Libertad Avanza, abbiano suggerito di eliminarle e passare a un regime di cambio fluttuante, l’esecutivo argentino ha scelto di mantenerle. Di fronte a tali dubbi, la risposta del governo è che l’economia argentina oggi non è ancora pronta a fluttuare liberamente, data l’elevata sensibilità del tasso di cambio a qualsiasi evento che generi incertezza – per esempio le recenti elezioni, ma anche prima, quando sono emersi interrogativi sulla capacità dello stato di pagamento del debito. Nemmeno ricalibrare le bande del cambio (spostarle verso l’alto) sembra essere un’opzione. In primo luogo, perché il governo ritiene che il tasso di cambio sia già su un livello adeguato. E in secondo luogo perché ciò danneggerebbe la credibilità dello schema: se devono essere modificate ogni tre mesi, evidentemente non funzionano bene. Effettivamente, su entrambe le questioni le scelte del governo appaiono fondate. Dopo quanto visto durante le elezioni, è chiaro che non esistono ancora le condizioni per un regime di fluttuazione libera. Inoltre, dal punto di vista della squadra economica, la costruzione della credibilità – attraverso il rispetto degli impegni finanziari – risulta cruciale per ancorare le aspettative.
La discussione, oggi più viva che mai dopo la conferma delle bande, riguarda la dinamica del tasso di cambio. Questo perché il limite superiore della banda, in termini reali, mostra una tendenza al ribasso (aumenta dell’1 per cento su base mensile, mentre l’inflazione cresce comodamente sopra il 2 per cento mensilmente e le proiezioni delle società di consulenza non prevedono che scenda verso l’1 per ento nel corso del prossimo anno).
Sebbene il tasso di cambio sia al di sopra della media storica degli ultimi dieci anni, confermando le bande il governo proietta per il prossimo anno un apprezzamento reale di almeno il 4 per cento supponendo che rimanga vicino al limite superiore della banda per tutto l’anno. Se invece scendesse al di sotto, l’apprezzamento aumenterebbe proporzionalmente. Se risulta più intuitivo ragionare in termini nominali, ciò significa che, se il tasso di cambio si mantiene vicino al limite superiore per tutto l’anno, a dicembre 2026 si collocherebbe intorno ai 1700 pesos per dollaro, un incremento del 17 per cento, inferiore all’inflazione prevista (pari al 20 per cento).
I dubbi sulla coerenza del quadro emergono quando introduciamo un secondo elemento che il governo ha confermato o meglio, rettificato nelle ultime settimane: il fatto che acquisterà dollari all’interno della banda. Ricordiamo che, inizialmente, la squadra economica del governo argentino aveva affermato che lo avrebbe fatto solo quando il tasso di cambio avesse raggiunto il limite inferiore; qualcosa che oggi risulta impossibile.
Infatti, la complessità della situazione attuale è che il tasso di cambio si trova ancora molto vicino al limite superiore della banda (a meno del 5 per cento). In altre parole, il governo punta a comprare dollari ogni mese (il che implica maggior domanda nel mercato dei cambi), ma senza che ciò lo porti a toccare il tetto. Come è emerso nella vigilia elettorale, se ciò accadesse, potrebbe scatenare una corsa valutaria.
Come se non bastasse, il governo si propone di fare tutto questo con un dollaro che, mese dopo mese, si andrà apprezzando in termini reali, il che comporta, di per sé, una maggiore domanda nel mercato valutario, tanto più se ciò coincide con una ripresa dell’attività economica e/o con un ampliamento delle importazioni. In sintesi, affinché tutto questo avvenga, la conclusione è ovvia: servono molti più dollari nel 2026.
Ma come pensa di riuscirci il presidente Milei? Attraverso l’aumento delle diverse fonti di finanziamento esterno. In primo luogo, ottenendo il rifinanziamento delle prossime scadenze di debito. Per il 10 dicembre ilTesoro argentino ha annunciato un’asta in cui cercherà di collocare un’obbligazione in valuta estera – il dollar – con scadenza nel 2029 e un tasso annuo del 6,5 per cento. E, per l’appunto, una parte di queste risorse raccolte saranno destinate proprio a coprire una parte delle scadenze che il governo dovrà affrontare a gennaio. Sarà la prima prova di mercato per l’esecutivo, quindi occorrerà prestare molta attenzione al risultato. E, in secondo luogo, mediante l’emissione di debito privato e delle province. E’ infatti essenziale ricordare che, generalmente, le imprese e le amministrazioni provinciali vendono gran parte dei loro dollari nel mercato ufficiale (dato che le loro spese sono in pesos). Quell’eccedenza sarebbe poi acquistata dal Tesoro o dalla Banca Centrale.
In generale, il crollo del rischio paese ha accelerato questo processo. A novembre, per esempio, le imprese argentine – in gran parte del settore energetico – hanno realizzato emissioni record per oltre 3,5 miliardi di dollari, a cui si è aggiunta un’emissione del governo della città di Buenos Aires per 600 milioni. Il problema è che, nonostante questo afflusso di dollari, il governo ne ha acquistati solo 220 milioni, una cifra insignificante. Tanto che ha dovuto comprarne altri 200 milioni dalla Banca Centrale (il che implica una caduta delle riserve) per poter far fronte ai pagamenti di novembre. In ogni caso, i dubbi del mercato sono evidenti e si manifestano attraverso una domanda elevata di dollari che, in parte, è ciò che impedisce al Tesoro di acquistare di più senza mettere sotto pressione il tasso di cambio. Il governo però confida in notizie migliori su questo fronte. Da un lato, ha iniziato la liquidazione del raccolto di grano, che è stato da record (con un incremento del 22 per cento rispetto alla campagna precedente). Inoltre, dicembre è un mese in cui, per ragioni stagionali, la domanda di pesos tende ad aumentare in modo significativo (il che riduce la domanda di dollari). Se, inoltre, dovesse continuare l’emissione di debito privato, il governo potrebbe riuscire ad acquistare una quantità di valuta molto più significativa.
Indipendentemente da tutto ciò, la principale incognita riguarda ciò che accadrà nel 2026. Come detto, il governo affronta scadenze importanti (tra i 18 e i 20 miliardi di dollari) che, nella sua logica, dovrebbero essere integralmente rifinanziate per non utilizzare le riserve della Banca Centrale. Vale la pena ricordare che esiste la possibilità di ricorrere allo swap con gli Stati Uniti – un tratto è già stato attivato, ma resterebbe disponibile un importo simile alle scadenze in questione – sebbene il governo preferisca mantenerlo come riserva di emergenza.
Esclusa questa opzione, sembra difficile che il governo riesca a ottenere tutto quel finanziamento. In uno degli ultimi rapporti, la direzione studi economici del Banco Provincia ha analizzato tutte le emissioni di debito dei paesi emergenti e ha rilevato che quindici di essi hanno incrementato significativamente le loro emissioni (ottenendo 10 miliardi di dollari o più, che è il minimo di cui l’Argentina avrebbe bisogno per rifinanziare il debito in valuta con il settore privato). Il punto è che il rischio paese ( che misura il costo di finanziamento e, pertanto, rappresenta una variabile chiave per ottenere nuovo finanziamento) di tutte queste economie, con l’eccezione del Kenya, si colloca al di sotto dei 400 punti base, mentre quello dell’Argentina è pari a 650.
Questo ci porta a un aspetto che manca ancora nell’analisi: l’accumulazione delle riserve. In parole semplici, se la Banca Centrale volesse – come ha detto – ricostruire le riserve esigue che possiede, bisognerebbe aggiungere a tutto ciò tale esigenza. Come riferimento, l’obiettivo dell’accordo con il Fondo Monetario Internazionale implica l’accumulo di circa 9 miliardi di dollari da qui a marzo del prossimo anno.
Arriviamo così al ragionamento circolare che per il governo rappresenta un bivio: per pagare il debito e accumulare riserve serve necessariamente tornare a emettere debito sui mercati internazionali; ma per riuscirci bisogna ricostruire prima le riserve, dato che ciò migliora la capacità di pagamento e aiuta a ridurre il rischio paese.
La discussione rilevante non riguarda se mantenere o meno le bande, ma se il flusso di dollari sia sufficiente per sostenerle alle condizioni attuali. Il governo scommette che la combinazione di finanziamento estero e minore incertezza basti a riequilibrare la domanda di valuta. Ma la restrizione centrale persiste: per stabilizzare servono riserve, e per ottenere riserve serve finanziamento. E’ questo il nodo centrale per tutto il 2026 argentino.
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