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L'analisi
Crescita, demografia, lavoro. Le sfide dell'Italia che necessitano riforme
L’economia europea mostra una resilienza diffusa, ma quella italiana è tra le più basse dell’area euro, frenata da demografia in discesa insieme alla produttività che non migliora. Per invertire la rotta servono riforme profonde del lavoro, dell’istruzione e del welfare: una vera rivoluzione culturale
Le ultime previsioni della Commissione europea indicano che, nel complesso, l’economia europea è resiliente di fronte alle incertezze geopolitiche. Nell’anno in corso la crescita dovrebbe essere dell’1,3 per cento, migliore rispetto al 0,9 per cento dello scorso anno e allo 0,5 per cento del 2023. Nei prossimi due anni il ritmo di crescita dovrebbe rimanere sostanzialmente immutato.All’interno dell’Unione le dinamiche sono tuttavia alquanto diverse.
L’economia italiana appare in controtendenza, rallentando allo 0,4 per cento nel 2025, rispetto ad una crescita dello 0,7 per cento dello scorso anno e dal’1 per cento nel 2023. La crescita italiana è tra le più basse dell’Eurozona, superiore quest’anno solo a quelle dell’Austria, della Finlandia e della Germania, le quali però recuperano nel 2026. Alcuni commentatori hanno cercato di mettere questi dati in prospettiva, dando una lettura meno deludente. Innanzitutto, bisogna ricordare che si tratta di previsioni, che comportano ampi margini di incertezza. Inoltre, le statistiche vengono spesso riviste, talvolta dopo vari anni.
Tuttavia, i primi tre trimestri del 2025 sono oramai acquisiti, l’ultimo dei quali con una crescita quasi zero. Difficile che il quarto trimestre cambi drasticamente la previsione dello 0,4 per cento per questo anno. Peraltro, le previsioni, sia della Commissione europea che del Fondo monetario internazionale, si sono rivelate in passato alquanto ottimiste sulla crescita italiana e sono state successivamente riviste al ribasso. La crescita del 2025, ad esempio, era prevista allo 0,7 per cento un anno fa e all’1 eper cento due anni fa, con un eccesso dello 0,3 e dello 0,6 per cento, rispettivamente. Anche per il 2024 la previsione era inizialmente troppo alta e ha dovuto essere rivista al ribasso. Per poter raggiungere la previsione dello 0,8 per cento nel 2026 l’economia italiana dovrebbe crescere dello 0,2 per cento in ciascuno dei prossimi 5 trimestri, il che non sarà facile, anche se non impossibile.
Un altro aspetto sottolineato da alcuni commentatori è che l’economia italiana è comunque cresciuta più della media europea dopo il Covid. In effetti dal 2020 al 2025 il pil italiano è aumentato di circa il 14 per cento, più della media dell’area dell’euro (13 per cento), della Francia (13 per cento) e della Germania (4 per cento). Tuttavia, questa maggior crescita è in larga parte dovuta al rimbalzo registrato dopo il forte calo subito nell’anno della pandemia, che per l’Italia era stato più forte della media europea. Prendendo un intervallo più lungo, che copre il periodo dal 2018 al 2025, la crescita cumulata dell’economia italiana è stata del 7 per cento, inferiore alla media europea (9 per cento).
Un altro argomento usato per spiegare la minor crescita italiana è il calo della popolazione. Negli ultimi quattro anni, questa è diminuita dello 0,1 per cento all’anno e il calo è previsto continuare nei prossimi anni. Nello stesso periodo, l’area dell’euro ha invece registrato un incremento medio dello 0,4 per cento all’anno. Solo i paesi baltici e la Grecia hanno registrato una contrazione maggiore di quella italiana. Misurare il prodotto lordo pro capita – ossia dividendo il prodotto per il numero di abitanti – non è necessariamente un motivo di sollievo. In effetti, la sostenibilità di alcuni parametri finanziari importanti, come il debito pubblico di un paese, viene valutata in base al prodotto nel suo insieme, non al reddito pro capite. Inoltre, il calo della popolazione e il suo invecchiamento tendono a incidere negativamente sul potenziale di crescita di medio periodo. In altre parole, più la popolazione diminuisce e meno cresce la ricchezza di un paese, anche pro capite.
Nel caso italiano, il calo demografico è in parte compensato dal forte aumento dell’occupazione registrato negli ultimi anni, superiore alla media europea. Rispetto all’ottobre dello scorso anno gli occupati sono aumentati di circa 225 mila unità. Ci sarebbe ampio spazio per aumentare ulteriormente l’occupazione e contrastare l’effetto negativo del calo della popolazione. In effetti, il tasso di occupazione – che misura il numero di occupati rispetto alla popolazione totale – pur aumentato di circa 4 punti rispetto a prima del Covid (dal 59 al 63 per cento), rimane il più basso d’Europa.
Finora, i progressi hanno riguardato soprattutto la classe di età tra i 50 e 64 anni, principalmente per effetto delle riforme pensionistiche messe in atto negli anni passati. Ciò spiega anche il calo della produttività del lavoro, dello 0,8 per cento all’anno nell’ultimo triennio, e la debole dinamica salariale. Ci sono margini per migliorare l’occupazione femminile, anch’essa nettamente inferiore alla media europea (54 per cento), e quella dei giovani al di sotto di 34 anni, che è addirittura diminuita nell’ultimo anno (al 50 per cento).
Ciò richiede tuttavia riforme profonde del mercato del lavoro, dell’istruzione, delle politiche di assistenza. Una vera rivoluzione culturale, per un paese che invecchia.
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