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le imprese di domani
Non solo tagli di costi: l'AI può generare crescita. Ceo a confronto
L'intelligenza artificiale cambierà il modo in cui i lavoratori riusciranno a interagire tra di loro, aprendo nuovi orizzonti. E se è innegabile che ci sarà una perdita di posti di lavoro, la responsabilità sociale delle aziende sarà un tema cruciale. Voci dalla prima edizione di “Experts Talk Corporate Leaders”
La notizia che Anthropic, start up della West Coast che ha sviluppato la chatbot “Claude”, fondata dall’imprenditore italoamericano Dario Amodei, progetta una quotazione a Wall Street a tempo di record per battere sul tempo Open AI, dice che il mondo dell’intelligenza artificiale sta correndo più delle attese. Sui mercati ci sarà anche il timore di una bolla speculativa, ma l’evoluzione che stanno avendo questi due produttori di software sembra confermare che la domanda di servizi legati all’AI è in costante aumento. Domanda che arriva dai privati ma soprattutto dalle imprese che si sono accorte che possono velocizzare alcune mansioni e tagliare i costi del personale. Ma è davvero tutto qui? L’intelligenza artificiale si riduce a uno strumento di efficienza e di costi aziendali?
Il tema è stato affrontato dai capi dei grandi gruppi nella prima edizione di “Experts Talk Corporate Leaders”, che si è svolta in Trentino Alto Adige, sotto la direzione scientifica di Michele Carpagnano, e alla quale ha partecipato (via collegamento) il ministro Adolfo Urso. “Tante imprese, in effetti, hanno cominciato a usare l’AI per contenere il costo del lavoro”, dice al Foglio Tommaso Buganza del Politecnico di Milano che sta seguendo da vicino l’impatto dell’intelligenza artificiale nel mondo produttivo. “Ma altre si stanno interrogando su come possono generare nuova crescita investendo le risorse che risparmiano grazie alle nuove tecnologie, e questo, a mio parare è l’approccio più corretto. Per esempio, Fujitsu ha affrontato questa sfida consentendo ai dipendenti di creare Gpt personalizzate. Utilizzando l’AI come assistente di fiducia, ha creato una piattaforma interna di condivisione delle conoscenze migliorando i processi aziendali”. Per Buganza, quello che succederà in futuro non sarà che l’intelligenza artificiale eliminerà il lavoro umano, ma che “organizzazioni di persone in grado di utilizzare e integrare le nuove tecnologie al loro interno batteranno le organizzazioni che non saranno state in grado di farlo”. Insomma, cambierà il modo in cui le aziende producono perché cambierà il modo in cui le persone che ci lavorano riusciranno a interagire tra di loro aprendo nuovi orizzonti.
In una fase di transizione, però, è innegabile che ci sarà una perdita di posti di lavoro. “Qui entra in gioco un tema di responsabilità sociale che un’azienda come la nostra si sta ponendo”, dice Alessandro Nespoli, Chief Risk and Compliance Officer del gruppo Prysmian. “Sicuramente gli Stati Uniti, la Cina, e per certi versi anche l’India, stanno correndo molto più dell’Europa nel campo dell’intelligenza artificiale grazie a un approccio basato sulla competizione e con poche regole, ma noi non siamo così, dobbiamo fare i conti con la nostra cultura, che avendo una radice cristiana, dà valore alle persone e non ci consente di considerare i lavoratori come un problema da eliminare. Penso che le aziende dovrebbero condividere alcuni princìpi etici per affrontare una rivoluzione trasformativa come questa”. Esiste, dunque, un rischio legato alla pace sociale che in Europa è molto sentito. D’altra parte, il gap con gli altri paesi si allarga: Mario Draghi qualche giorno fa ha esortato l’Ue a darsi una mossa altrimenti rischia la stagnazione. “Ha perfettamente ragione – prosegue Nespoli – e mi auguro che, come è successo con il Pnrr, si possa pensare a un fondo comune per finanziare lo sviluppo dell’AI europea, altrimenti diventeremo completamente dipendenti delle chatbot americane o cinesi, sempre più sofisticate, senza renderci conto che questo espone i nostri dati a un potenziale rischio geopolitico”.
Draghi ha posto anche un altro punto: lasciare che le nuove tecnologie si diffondano senza controllo, come accaduto con i social media, “non è un’alternativa responsabile”, ha detto. Ma bloccare il potenziale positivo prima ancora che possa emergere “è altrettanto sbagliato”. Il riferimento, implicito, è all’Artificial intelligence Act, il pacchetto normativo europeo che ha già suscitato critiche perché contiene troppi vincoli. Ma mentre ci sono aziende che non vedono l’ora di abbattere i paletti per sfruttare al massimo le opportunità offerte dall’AI, soprattutto le start up, altre imprese, per esempio in settori creativi come la moda, esprimono qualche dubbio sui reali vantaggi dell’utilizzo delle chatbot. Fabrizio Caretta, responsabile legale e compliance di Dolce&Gabbana spiega: “Se si chiedesse all’intelligenza artificiale di produrre una borsa con particolari caratteristiche, senza tenere conto che sul mercato esistono già quei modelli, il risultato nel 99 per cento dei casi sarebbe la violazione dei diritti di parti terze”. Nel mondo dei creativi, dunque, l’AI non ha futuro? “Ci stiamo interrogando su questo, di certo se il tempo risparmiato per creare un nuovo modello lo dobbiamo poi impiegare per accertarci che non ci sono rischi legali, non so se ne vale la pena”.