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Italia senza acciaio

Un ex commissario di Ilva ci spiega perché il collasso non è rinviabile. Tranne in un caso

Antonio Lupo

Immaginare una transizione rapida e indolore in un impianto di queste dimensioni, senza valutarne attentamente costi, tempi e infrastrutture energetiche, significa abdicare al realismo. L'intervento di Antonio Lupo

Se non si comprendono fino in fondo le paure degli imprenditori dell’acciaio e se non si offre loro la certezza che tali timori possano essere superati, a Taranto non ci sarà mai un investimento davvero virtuoso e produttivo. Il rischio fa parte dell’impresa, ma nessun investitore ragionevole è disposto a scommettere su uno stabilimento siderurgico fra i più grandi d’Europa, dotato delle migliori tecnologie disponibili e tuttavia sottoposto da tredici anni a sequestro preventivo. Allo stesso modo, nessun imprenditore investirà in un piano industriale che richiede risorse imponenti senza sapere se, e quando, si potrà raggiungere il break even point. A complicare il quadro vi è il comportamento degli enti locali, che per timore di esporsi, continuano a mantenere troppo alto il livello delle loro richieste sull’assetto produttivo, lasciando emergere dubbi sulla reale consapevolezza della fattibilità di ciò che propongono. Una postura che finisce per allontanare l’orizzonte di una visione pragmatica e ragionevole di continuità produttiva. Le amministrazioni del territorio dovrebbero invece avere idee chiare, rifuggire dall’ansia di ottenere in tempi irragionevoli la transizione tecnologica e concentrarsi sulla giusta rivendicazione dello sviluppo di filiere industriali collegate, ma non solo, all’acciaio.

Negli ultimi mesi si è immaginato un percorso industriale ai limiti del surreale: come se il più grande stabilimento siderurgico d’Europa potesse attrarre imprenditori disposti a ignorare fattori essenziali quali i tempi e i costi per la realizzazione degli impianti di riduzione diretta (DRI) e dei forni elettrici, i costi per l’approvvigionamento delle materie prime, a cominciare dal gas, e tutte le risorse finanziarie necessarie per sostenere una trasformazione così onerosa e rischiosa del processo produttivo. E’ indubbio che la tecnologia di produzione con forni elettrici rappresenti il futuro della siderurgia anche per la produzione di acciaio primario, ma immaginare una transizione rapida e indolore in un impianto di queste dimensioni, senza valutarne attentamente costi, tempi e infrastrutture energetiche, significa abdicare al realismo.

Anche l’ipotesi in cui si tornasse alla “mano pubblica”, con un percorso tutto ancora da valutare nella sua legittimità e declinare nella sua operatività, da ciò non potrebbero derivare costi ingiustificabili o finanziariamente insostenibili.

In una fase in cui prevale la preoccupazione di evitare responsabilità più che quella di affrontare la realtà, le risorse finanziarie si fanno sempre più esigue e il margine di sopravvivenza sempre più stretto. Serve una leadership capace di spiegare e sostenere un piano industriale credibile e attuabile, non esercizi di utopia. È indispensabile garantire la continuità produttiva con il ciclo integrale ad altoforno finché non sarà concretamente possibile adottare tecnologie più moderne, come forni elettrici e DRI, sostenute da piani finanziari solidi per una vera transizione verso la decarbonizzazione.

È altrettanto necessario che le autorità amministrative, inclusi gli enti locali, riconoscano gli sforzi compiuti e i miglioramenti che hanno ridotto notevolmente l’impatto ambientale e sanitario, consolidando così la legittimità dei provvedimenti autorizzativi. Il nodo del sequestro, tuttavia, continua a gravare su ogni prospettiva futura: chiederne la revoca, sulla base dei risultati ottenuti, è un passaggio cruciale. Non farlo scoraggia gli investitori seri e apre spazio a iniziative di soggetti economici dalle finalità poco chiare.

Inoltre, è doveroso informare con chiarezza le comunità locali sulle reali condizioni degli impianti e sugli effetti di un’eventuale cessazione dell’attività produttiva, che avrebbe conseguenze economiche, sociali, ambientali e sanitarie gravissime. In un contesto di confusione e mancanza di chiarezza, la carenza di una leadership forte emerge in modo drammatico e il tempo a disposizione è quasi esaurito. Sarà forse possibile continuare con qualche altro decreto legge e provvedimento straordinario, ma i nodi restano e saranno gli stessi. Occorre affrontarli il prima possibile.

 

Antonio Lupo

ex commissario di Ilva in amministrazione straordinaria

 

 

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