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riciclo
L'eccesso di offerta a prezzi bassi della plastica fa inceppare il meccanismo delle raccolte
Le strade possibili sono 3: sussidiare le raccolte accollando i costi allo stato o alle imprese produttrici, ridurre l’offerta di materiali riciclati o aumentare la domanda. Intanto l'Europa sembra preoccuparsi più degli obiettivi politici ed etici che di considerazioni realistiche
E se a un certo punto si riciclasse troppo? Prima di tutto va spiegato cosa significa troppo. Fondamentalmente quando risulta che il mercato e i diversi processi produttivi non sono in grado di assorbire quantità eccessive di prodotto riciclato. Cosa che sta accadendo in queste settimane in Italia per esempio con la plastica, anche se fenomeni simili si sono manifestati in passato per altri materiali come la carta e il vetro. I consorzi a cui i comuni conferiscono i prodotti delle raccolte differenziate vedono andare deserte le aste per collocare le plastiche presso i riciclatori che non le ritirano più perché i costi dei processi di riciclo non sono coperti dai prezzi della vendita del materiale riciclato e preferiscono fermare o chiudere gli impianti. I comuni non sanno più a chi conferire il risultato delle raccolte e tutto il meccanismo si inceppa. La causa? Un eccesso di offerta a prezzi bassi di plastiche vergini soprattutto, ma non solo, dall’Asia e plastiche riciclate anch’esse provenienti da fuori l’Europa a prezzi altrettanto bassi e con il forte sospetto che la loro origine non sia chiara. Come al solito l’Europa si è preoccupata di fissare obiettivi di riciclaggio piuttosto alti, il 65 per cento del totale dei rifiuti urbani, per quelli industriali il discorso è diverso, senza un’analisi accurata del mercato e quindi delle convenienze. Inoltre è evidente che più l’obiettivo è alto più i costi marginali tendono ad aumentare e purtroppo i prezzi non si adeguano. Anche in Italia abbiamo incrementato molto la quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato e il risultato è quello sopra descritto. Che fare? Come al solito le strade possibili sono tre. La prima: sussidiare le raccolte accollando allo stato o alle imprese produttrici una parte dei costi. Cosa che troverebbe una giustificazione nella valutazione dei costi delle esternalità ambientali che il riciclaggio evita. O predisporre altri strumenti economici che aiutino a rendere economicamente sostenibile il riciclo. Secondo: ridurre l’offerta di materiali riciclati, magari con misure protezionistiche nei confronti delle aree extraeuropee, con possibili e probabili ritorsioni, e costringendo a una certificazione stringente nel caso di materiali riciclati, cosa non facile. O prendendo atto che oltre certe soglie riciclare non conviene. Terzo: aumentando la domanda. Obbligando per esempio tutti i nuovi prodotti in plastica, anche al di fuori del packaging (es. produzione beni durevoli), a utilizzare una determinata percentuale di materiale riciclato e inserendo in tutte le aste pubbliche in modo stringente l’obbligo di richiedere anche qui in percentuali stabilite materiali provenienti da attività di riciclo.
In ogni caso risulta evidente che anche il riciclo, come ogni attività economica, è sottoposto alle leggi economiche e di mercato che regolano le attività produttive. Cosa di cui l’Europa, non solo in questo caso, sembra preoccuparsi poco, più guidata da obiettivi politici e quasi etici, che da considerazioni realistiche. Per gli stati che non raggiungo determinati obiettivi sono per esempio previsti sanzioni. Ma che colpa ne hanno loro se le attività connesse risultano in perdita e le aziende chiudono?