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Cronistoria
Tutti i "no" della Cgil di Landini: dai contratti su scuola e sanità alla rappresentanza dei lavoratori
L'ultimo niet è arrivato sulla pre intesa che riguarda i dirigenti medici e sanitari. Ma nel corso degli ultimi anni il sindacato rosso ha bocciato praticamente tutte le ipotesi di accordo tra governo e parti sociali. Una ricognizione
Rinnovi contrattuali della sanità e della scuola, protocolli sugli scioperi, salario minimo proposto dal Cnel, vertenza Eni Versalis. E ancora, rappresentanza dei lavoratori e valorizzazione della ricerca. Tutti questi temi hanno un punto in comune: ogni volta che se n'è discusso la Cgil ha risposto con un secco "no". L'ultimo è arrivato proprio ieri quando è stata sottoscritta la preintesa del nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro 2022-24 nella sede dell'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran). L'accordo riguarda 137 mila medici dirigenti e sanitari e prevede aumenti medi di circa 491 euro al mese per 13 mensilità e degli arretrati medi stimati in 6.500 euro. Ma Fassid, la federazione sindacale dei dirigenti medici e sanitari, e la Cgil non lo hanno firmato. Il sindacato, attraverso le parole del segretario nazionale Fp Cgil medici Andrea Filippi, ha fatto sapere che si tratta di "un contratto definanziato di 537 euro lordi medi mensili rispetto all'inflazione e nessun miglioramento normativo. Siamo sconcertati per la precipitazione di una sottoscrizione frettolosa utile solo alla propaganda del governo". E ha proclamato lo sciopero dell'intera categoria per il 12 dicembre, che è già stato indicato dallo stesso sindacato come il giorno dello sciopero generale contro la quarta manovra dell'esecutivo Meloni. Si tratta però, come detto, soltanto dell'ultimo di molti di "no" che il sindacato di Maurizio Landini ha detto negli ultimi anni. In sostanza, per ritrovare le ultime intese firmate dalla Cgil bisogna andare indietro nel tempo a più di tre anni fa, all'epoca del governo Draghi, quando Landini firmò, insieme alle altre sigle, protocolli sul Pnrr e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro durante l'emergenza Covid.
Poche settimane fa infatti una bocciatura simile era capitata al mondo della scuola. La trattativa per il rinnovo del contratto Istruzione e Ricerca 2022-2024, che interessa 1 milione e 286mila dipendenti, di cui 850mila docenti, si è conclusa con la firma di cinque sigle sindacali su sei: Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Gilda-Unams, Snals-Confsal e Anief hanno aderito all’intesa all’Aran, mentre anche in questo caso la Flc Cgil ha deciso di non sottoscriverla. Gli aumenti sono di circa 150 euro medi mensili per 13 mensilità, con punte di 185 euro medi mensili per gli insegnanti, in base all'anzianità di servizio, e 240 euro medi mensili per ricercatori e tecnologi. Ma mentre da una parte il ministro dell'Istruzione e del Merito Valditara ha parlato di "risultato storico", per il sindacato “gli incrementi stipendiali previsti e, per oltre il 60 per cento già erogati in busta paga sotto forma di indennità di vacanza contrattuale, coprono neanche un terzo dell’inflazione del triennio di riferimento e sanciscono la riduzione programmata dei salari del comparto”.
Il "no" al Cnel
A ottobre 2023, nel corso dell'assemblea del Cnel sul salario minimo, Renato Brunetta ha illustrato il documento relativo agli esiti della prima fase istruttoria tecnica sul lavoro povero e il salario minimo, precedentemente approvato dalla Commissione dell’Informazione. Anche in quell'occasione, il solo voto contrario è stato della Cgil (la Uil si è astenuta). Poche settimane più tardi, a fine novembre, Landini, insieme al leader della Uil Pierpaolo Bombardieri, ha indetto cinque giornate di sciopero "per alzare i salari, per estendere i diritti e per contrastare una legge di Bilancio che non ferma il drammatico impoverimento di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati e non offre futuro ai giovani", si legge sul sito della Cgil.
Il "no" al protocollo sul Giubileo
Un anno dopo, nel 2024, Cgil e Uil sono tornate in piazza sempre contro la manovra del governo Meloni indicendo il terzo sciopero generale - quello della "rivolta sociale" - in tre anni e l'argomento principale di polemica era la riforma fiscale. In quell'occasione il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini aveva precettato lo sciopero dopo l'incontro con i sindacati, che non volevano uniformarsi alle prescrizioni del Garante per gli scioperi che aveva chiesto il dimezzamento della mobilitazione nel settore dei trasporti. Negli stessi giorni, la Cgil si è rifiutata di firmare il protocollo d’intesa sugli scioperi per il Giubileo, unico sindacato confederale insieme alle sigle più estremiste come Cobas e Usb. Il protocollo, firmato presso la Commissione di garanzia sugli scioperi, avrebbe impegnato i sindacati durante nove “eventi strategici” per la città nel corso dell’anno (ad esempio l’apertura e la chiusura delle porte sante) a non effettuare scioperi nei servizi pubblici (trasporti, sanità, vigili del fuoco, ordine pubblico, etc.). Allo stesso modo, i datori di lavoro si sarebbero impegnati a non intraprendere azioni unilaterali che possono provocare conflitti sindacali.
Il "no" alla Cisl
All'inizio del 2025, Luigi Sbarra, diventato poi a giugno sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega per il sud, era riuscito a ottenere la discussione in Parlamento di una proposta di legge di iniziativa popolare sulla rappresentanza dei lavoratori, che avrebbe introdotto alcune importanti novità come l’ingresso dei dipendenti nei Consigli di amministrazione e nei consigli di sorveglianza, la distribuzione degli utili, lo strumento partecipativo dei "piani di azionariato". Ma anche in quel caso Landini si era opposto parlando di “modo per aggirare la contrattazione”.
Il "no" all'Eni Versalis
A marzo i sindacati di categoria di Uil e Cisl hanno sottoscritto un verbale di intesa con Versalis. E la Cgil è stata l'unica a non firmarlo. Oltre al mantenimento dei posti di lavoro, uno dei punti principali del verbale era la possibilità di mettere in stand-by l’impianto di cracking di Brindisi, per riattivarlo auspicabilmente quando ci sarebbero state le condizioni di mercato. Ma la Cgil riteneva che fosse tecnicamente impossibile e chiedeva in sostanza che Eni cancellasse il suo piano strategico. Una posizione, quella del sindacato di Landini, che non è piaciuta ai lavoratori degli impianti: a Brindisi, i rappresentanti sindacali del petrolchimico hanno scritto in un documento di volersi dissociare dalla Cgil.
Il "no" al mondo della ricerca, della sanità e delle funzioni centrali
Il sindacato di Landini non si è limitato solo ai "no": a febbraio ha anche inviato una lettera alla Commissione europea per contestare il governo, chiedendo il ritiro del ddl sulla valorizzazione della ricerca. La ministra dell'Università Anna Maria Bernini, con il ddl sulla valorizzazione della ricerca, si era impegnata a introdurre delle formule di flessibilità al “contratto nazionale di ricerca”, impegno condiviso anche dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) che si era schierata contro l'ostruzionismo della Cgil. Sono stati gli ricercatori universitari a chiedere al governo di andare avanti opponendosi alla precarizzazione innescata proprio dal modello universitario propagandato dal sindacato.
A giugno scorso, poi, è stato firmato il rinnovo contrattuale del comparto sanità per il triennio 2022-2024. L'accordo porterà nelle tasche degli infermieri (e non solo) 172 euro per 13 mensilità, circa 520 euro nel caso degli operatori del pronto soccorso, oltre a una serie di altri riconoscimenti dal punto di vista professionale e sulle condizioni di lavoro. Né Cgil né Uil hanno però apposto la loro firma (a differenza di Cisl, Nursind, Fials e Nursing Upe) e, in una nota, hanno parlato di “lavoratori svenduti, di sconcerto e indignazione”. Un altro "no" è stato quello sul nuovo contratto 2022-2024 nelle funzioni centrali del pubblico impiego dopo che la contrattazione con il ministero della Pubblica amministrazione è andata avanti per mesi. Nonostante l’accordo prevedesse incrementi salariali e una maggiore flessibilità lavorativa per oltre 195 mila dipendenti di ministeri e agenzie, Cgil e Uil hanno detto che gli aumenti stanziati erano insufficienti.
Il “sesto dominio”