Ansa
Editoriali
Il bluff sull'Ilva è finito. Le responsabilità di un fallimento
L'impianto ha comunicato la chiusura, oltre che dell'area a caldo, anche delle cokerie con seimila persone in cassa integrazione. E la tanto sbandierata decarbonizzazione si materializza: spegnimento totale. La strada di Meloni a Taranto
Non uno, non due, non tre, ma addirittura quattro operatori internazionali interessati ad acquisire Ilva. E come se non bastasse, ha detto Urso ieri al tavolo a Chigi: “Si sta percependo un crescente interesse anche da parte di operatori del nostro paese”. E chi sarebbero, visto che Federacciai ha già recitato il De profundis? Il ceo di Cassa depositi e prestiti ha detto che non si può intervenire in aziende “senza prospettive di redditività”, tanto meno si può pensare, come ha proposto Francesco Boccia (Pd), di coinvolgere Leonardo e Fincantieri, affossando pure le aziende pubbliche in attivo. Davvero si può continuare a dire che c’è qualcuno disposto a investire a Taranto mettendo 9 miliardi di euro mentre ne perde 100 al mese?
Cosa aspetta Giorgia Meloni a prendere personalmente in mano il dossier, dopo che chi lo ha gestito finora promettendo di fare di Ilva il più grande siderurgico green d’Europa ne ha firmato l’irreversibilità del fallimento? E ora comunica la chiusura, oltre che dell’area a caldo, anche delle cokerie con seimila persone in cassa integrazione. Che tentano di coprire, oltre che con integrazione salariale, con corsi di formazione. Regione Puglia li ha già fatti stanziando 10 milioni di euro, ma sono serviti solo ai formatori. Nell’ultimo piano i forni elettrici non vengono neanche più menzionati. E la tanto sbandierata decarbonizzazione si materializza: chiusura e spegnimento totale. Se ne sono accorti persino i sindacati che, dopo aver lodato per tre anni il ministro che ha cacciato ArcelorMittal, ora ammettono che da allora la situazione è peggiorata. Anche loro hanno ceduto al populismo green, non essendosi mai ripresi dal 2012 quando furono contestati per essere scesi in piazza contro la procura. Che oggi risponde a Urso dicendo che, se l’altoforno 1 è ancora sotto sequestro, è perché lui in persona insieme con i suoi commissari lo ha inaugurato senza che fosse in sicurezza. Il bluff è stato svelato, ma qui è in discussione la più grande industria del paese ed è arrivato il momento che il premier in persona se ne faccia carico. O, a questo punto, si intesti la chiusura e provi a vincere le regionali in Puglia.
Il “sesto dominio”