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guai tarantini

L'Ilva e il governo: storia di un disastro annunciato

Annarita Digiorgio

Il piano “green” per l’Ilva del l'esecutivo Meloni si è rivelato un fallimento: niente investitori, forni ridimensionati e 6.000 lavoratori in cassa integrazione. Da rilancio industriale a nuovo disastro pubblico, il siderurgico simbolo d’Italia rischia ora di chiudere per sempre.

Il piano Ilva del governo Meloni è arrivato ieri al redde rationem. Era iniziato tre anni fa con la decisione di togliere l’azienda ad ArcelorMittal e metterla in amministrazione straordinaria per farne “il più grande siderurgico green d’Europa”. Sin dal principio il piano annunciato appariva irrealizzabile, a partire dal fatto che, storicamente, i più grandi disastri, ambientali ed economici, sono stati fatti in mano pubblica. Il piano scritto dal ministro Adolfo Urso, insieme ai sei commissari straordinari da lui scelti, sostituendo il precedente (firmato Arcuri), ha tolto il rinnovamento dell’Altoforno 5, che da solo avrebbe garantito 4 milioni di tonnellate d’acciaio. A cui si pensava di accompagnare gradualmente la sostituzione dei 3 afo più vecchi con nuovi forni elettrici a rottame e poi idrogeno. Urso invece, per inseguire il favore di Michele Emiliano, ha previsto un piano con solo 4 forni elettrici. E per non rompere con Federacciai, che da anni lamenta la scarsità di rottame sul mercato italiano, lo ha sostituito con 4 impianti dri (Direct Reduced Iron) a gas. Un piano così previsto dal governo non ha incontrato nessun investitore disposto a realizzarlo, e così la gara indetta per due volte dal ministro è sostanzialmente andata deserta. Tanto meno potrebbe farlo lo stato, essendo totalmente antieconomico. In tutto questo i sindacati, pur di allontanare il gestore privato e crogiolarsi nelle vacche grasse pubbliche, per tre anni hanno lodato le scelte del governo su Ilva. Fino a trovarsi, martedì, con la richiesta di una cassa integrazione straordinaria per seimila dipendenti. Oltre ai 2.500 mai rientrati. Un paradosso per il governo che si vanta di aver abolito il reddito di cittadinanza, e poi garantisce un sussidio da oltre 1.300 euro con integrazione salariale a dipendenti che da anni sono a casa e ci rimarranno fino alla pensione. Oltre al fatto che chi si era candidato per chiudere Ilva, non l’ha fatto. E chi doveva farne il più grande siderurgico d’Europa, l’ha fatta fallire per sempre.

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