Foto:Ansa. 

L'analisi

Sulla questione salariale il problema è la contrattazione, non il fiscal drag. Appunti per Landini

Luciano Capone

Per Tabellini i salari sono un problema di crescita e di produttività e non di drenaggio fiscale, che la Bce afferma sia stato interamente redistribuito ai lavoratori. Ai sindacati serve meno negazionismo economico alla Landini e maggior riformismo alla Tarantelli

 Una delle idee centrali di Ezio Tarantelli, l’economista ucciso quarant’anni fa dalle Brigate rosse per aver ispirato gli accordi di San Valentino del 1985 contro l’inflazione, era che i sindacati dovessero dotarsi di centri studi solidi per elaborare programmi autonomi. L’ambizione di Tarantelli, allievo del Nobel per l’Economia Franco Modigliani, era quella di costruire una rete di competenze che consentisse al sindacato di confrontarsi alla pari con le istituzioni e i centri che elaboravano la politica economica del paese, dalla Banca d’Italia alla Confindustria. La forza numerica degli iscritti e le competenze tecniche del centro studi, avrebbero consentito al sindacato di rompere la “cinghia di trasmissione” con i partiti politici di siglare autonomamente “accordi di scambio” con i datori e i governi.


Pochi giorni fa, il segretario della Cgil Maurizio Landini ha accusato la Bce di dire “bugie” sul fiscal drag. Uno studio dell’Eurotower aveva smentito l’accusa principale della Cgil nei confronti del governo: in questi anni, ripete Landini, sono stati sottratti ai lavoratori 25 miliardi di euro attraverso il fiscal drag. Non è così, dice la Bce, perché in Italia tutto il fiscal drag (e anche qualche miliardo in più) è stato redistribuito ai lavoratori – specialmente quelli a reddito medio-basso – attraverso il taglio del cuneo fiscale. Pertanto non è il fiscal drag la causa della questione salariale in Italia. Questi stessi concetti li ha ribaditi su Repubblica Guido Tabellini, uno degli economisti italiani più stimati.  


Tabellini segnala le riforme tributarie e il taglio dei contributi sociali (da Draghi a Meloni) “hanno più che integralmente compensato il fiscal drag tra il 2019 e il 2023”, pertanto “la politica fiscale del governo può essere criticata da molti punti di vista, ma lasciamo perdere il fiscal drag”. I salari restano comunque più bassi del 4 per cento rispetto al livello pre-Covid, ma la colpa non è del fisco: “E’ la contrattazione che non ha recuperato tutta la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione”. In sostanza, è accaduto l’esatto contrario di ciò che afferma Landini che, addirittura, sfida la Bce a un confronto sui numeri: il governo, attraverso il drenaggio fiscale, ha tassato di più i redditi alti per consentire ai redditi bassi di ottenere oltre al fiscal drag anche un pezzo di potere d’acquisto che non è stato ancora recuperato dalla contrattazione collettiva. In sostanza un pezzo dei contribuenti, quello più spremuto dalle tasse, è stato costretto a “sussidiare” le inefficienze della contrattazione che dipendono anche dal sindacato.


Tabellini, dalla prima pagina di un quotidiano progressista, riporta la discussione sui numeri reali: i  salari bassi in Italia non sono “un problema di redistribuzione” ma un problema di crescita e quindi di produttività. Sono gli stessi concetti espressi, sempre ieri, dal governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta nel suo intervento per la giornata del risparmio: “Il rapporto tra capitale e lavoro ha continuato a ridursi, con effetti negativi sulla produttività del lavoro”.


In questo senso, molto più del negazionismo economico della Cgil, è interessante la nuova posizione dialogante e riformista della Uil. Al netto dei 2 miliardi per detassare i rinnovi contrattuali ottenuti dal governo in manovra, una misura che conserva i problemi del sistema anziché risolverli, il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri ha fatto – proprio in un’intervista al Foglio un’importante apertura per affrontare il tema della produttività, non soltanto chiedendo maggiori investimenti al governo, ma proponendo ad esempio di “rilanciare la contrattazione di secondo livello” per poter “fare sperimentazioni per settori e territori”, nella consapevolezza che di fronte alle nuove sfide tecnologiche e di organizzazione del lavoro il contratto collettivo nazionale non è lo strumento più adeguato.


E’ su questo terreno che i sindacati possono sfidare le controparti e il governo per investire di più, trovare soluzioni per misurare la rappresentanza e chiudere i contratti pirata, far crescere produttività e salari. E’ la lezione riformista di Tarantelli: studiare con serietà l’economia per elaborare una piattaforma autonoma e ottenere “accordi di scambio”. L’esatto opposto del metodo Landini-Cgil: negazionismo economico e “rivolta sociale”.
 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali