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Il Dato
L'export italiano verso gli Stati Uniti cresce nonostante i dazi. Ma sono solo normali oscillazioni commerciali
L'aumento del 34 per cento delle esportazioni sul mercato americano deve essere letto con attenzione. Da un lato, al netto delle vendite di mezzi di navigazione marittima, il dato scende al 12 per cento. Dall'altro, oscillazioni di questo tipo non sono un fenomeno anormale nel commercio globale. Per fare i conti ci vorrà il 2026
I nuovi dati dell’Istat sul commercio italiano extra Ue raccontano, almeno in apparenza, una storia da prima pagina: l’export verso gli Stati Uniti a settembre è salito del 34 per cento su base tendenziale. Un numero che può impressionare, ma che deve essere letto con attenzione. Al netto della vendita dei mezzi di navigazione marittima, infatti, l’export verso gli Usa si ferma al 12 per cento. E non bisogna dimenticare che solo un mese prima, ad agosto, le esportazioni avevano registrato un calo del 21 per cento. Due estremi che non raccontano un cambio di tendenza, ma piuttosto la volatilità tipica dei mesi estivi e di un mercato in fase di assestamento. In generale, a settembre 2025 l’export italiano verso i paesi extra Ue è cresciuto del 9,9 per cento su base annua, mentre le importazioni sono aumentate del 16,9 per cento. Allo stesso tempo, per i primi nove mesi del 2025 l’avanzo commerciale extra Ue è stimato in 35,1 miliardi di euro, in riduzione rispetto ai 45,4 miliardi nello stesso periodo del 2024.
Le oscillazioni tendenziali e congiunturali sono spesso ingannevoli: bastano pochi fattori contingenti per trasformare un “meno” in un “più”. Al contrario, una sequenza di variazioni negative prolungate, come accadde nel 2007-2009, segnala una crisi strutturale. Oggi, però, non siamo in quel contesto. I dati recenti, per quanto contrastanti, si muovono dentro un quadro di stabilizzazione rispetto al nuovo scenario commerciale tra Europa e Stati Uniti.
Il dato di settembre, dunque, appare più come un rimbalzo dopo la caduta di agosto, che non come un effetto diretto del front loading e dei dazi. Da un lato, è possibile che parte di questo incremento rifletta ancora lo smaltimento del front loading - cioè l’anticipo degli ordini in vista dell’entrata in vigore dei nuovi dazi americani il 5 ottobre 2025. Dall’altro lato è necessario sottolineare che il vero picco di front loading si è verificato nei mesi precedenti, tra il secondo trimestre e luglio, quando l’incertezza sulle nuove tariffe era ancora alta. Dopo l’accordo Ue-Usa, che ha fissato un’aliquota unica del 15 per cento (salvo alcune eccezioni settoriali), il commercio ha iniziato a rinormalizzarsi.
L’effetto concreto dei dazi si manifesterà solo nei prossimi mesi, e sarà il 2026 a fornire le prime valutazioni realistiche. Per ora, possiamo basarci solo sulle simulazioni del Mef contenute nel Documento programmatico di finanza pubblica. Secondo queste stime, l’impatto dell’aumento dei dazi sul pil reale italiano nel 2026 sarà di circa -0,5 per cento, pari a oltre 12 miliardi di euro.