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Legge di Bilancio
La destra post berlusconiana alza la tassa più odiata dal Cav: l'Irap. L'altro lato del colpo alle banche
Quando nessuno aveva più la forza di difendere l’Irap e tutti si erano convinti o rassegnati a sopprimerla (persino Visco, che la ideò nel 1997), ecco che arriva un governo del centrodestra forgiato da Berlusconi (che la chiamava "Imposta RAPina") ad aumentarla di due punti
“E’ una manovra che abbiamo condiviso, siamo soddisfatti – ha detto compiaciuto in conferenza stampa il ministro degli Esteri Antonio Tajani –. Per quanto riguarda le coperture c’è stato un confronto con le banche, non ci saranno tasse sugli extraprofitti”. Era questa una delle richieste di Forza Italia, esaudita dalla premier Giorgia Meloni e dal ministro Giancarlo Giorgetti. Ma tra le coperture, annuncia il ministro dell’Economia, c’è l’aumento di due punti dell’Irap a carico di banche e delle assicurazioni (che sale rispettivamente al 6,65 e al 7,9 per cento). Chissà come avrebbe reagito il fondatore di Forza Italia, il cui nome è ancora presente nel simbolo del partito. Probabilmente non sarebbe stato così soddisfatto come Tajani, perché per Silvio Berlusconi l’Irap è sempre stata il simbolo per eccellenza dell’oppressione fiscale della sinistra: “Imposta RAPina”, la chiamava il Cav.
Ed è stato così sin da principio, dal lontano 1997, quando l’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap, appunto) fu inventata dall’allora viceministro delle Finanze del governo Prodi Vincenzo Visco. Il viceministro e la sua creatura incarnavano per il centrodestra lo stato spoliatore e assetato di tasse: Visco era Dracula e l’Irap le sue zanne. Nelle elezioni amministrative del 1997, Forza Italia costruì la sua campagna elettorale contro la nuova imposta lanciando il “Dies Irap”, una manifestazione in contemporanea in 116 città italiane: l’imposta non era ancora nata e Berlusconi voleva già sopprimerla.
In realtà, per quanto odiata, l’Irap aveva una sua logica soprattutto nel processo di razionalizzazione del sistema tributario. Si trattava di una riforma che semplificava un panorama disastrato dopo la crisi della Prima Repubblica. L’obiettivo alla base della riforma era quella di sostituire sei tributi pre-esistenti (Ilor, Iciap, contributi sanitari e altre tasse) con una nuova imposta che fosse in grado da un lato di mantenere il gettito e dall’altro di ridurre le distorsioni prodotte dai tributi del vecchio regime. L’idea dell’Irap era, pertanto quella di un’imposta che, a differenza di quelle precedenti, avesse una base imponibile ampia e aliquote ridotte. In più doveva essere neutrale, colpendo l’intero valore aggiunto: profitti delle imprese, redditi da lavoro e interessi passivi. Il problema politico era, però, che siccome era l’impresa a versare il tributo come una sorta di sostituto d’imposta, l’impresa pagava anche quando era in perdita.
Per questo era definita da Berlusconi “Imposta rapina”. Ed è stata al centro di tutte le sue campagne elettorali, dal 1997 (l’anno prima che l’imposta entrasse in vigore) fino all’ultima: “Aboliremo l’Irap”, è stato una delle promesse costanti di Berlusconi. E anche di una forte efficacia, dato che l’imposta è stata realmente una delle più odiate nella storia repubblicana. Tanto che molti tagli all’Irap sono stati fatti, sotto la pressione del centrodestra, anche dai governi del centrosinistra (ad esempio nel 2008 il governo Prodi ridusse l’aliquota ordinaria dal 4,25 al 3,9 per cento, mentre il governo Renzi nel 2015 abolì completamente la componente lavoro).
A causa dei continui interventi, tagli e ritocchi al margine, l’Irap non è mai stata l’imposta neutrale concepita dai suoi ideatori. E questo sin dal principio. Una caratteristica, infatti, era che l’imposta avrebbe dovuto avere un’aliquota uguale per tutti i settori. Ma non è mai stato così. Per una fase che sarebbe dovuta essere transitoria, a fianco all’aliquota ordinaria, l’Irap prevedeva un’aliquota ridotta per settori come l’agricoltura e la pesca e un’aliquota maggiorata per settori come le banche e le assicurazioni. La promessa del legislatore era che queste aliquote avrebbero dovuto progressivamente convergere verso quella ordinaria. E’ accaduto l’esatto contrario: l’Irap per le banche e le assicurazioni venne aumentata rispettivamente al 4,65 e al 5,90 per cento nel 2011 dal governo Monti, durante la crisi dello spread, mentre nel 2016 il governo Renzi abolì del tutto l’Irap per gli agricoltori.
A un certo punto, l’idea berlusconiana che questa imposta fosse da abolire è diventata patrimonio collettivo. Nel 2021 il governo Draghi presentò una legge delega di riforma fiscale, basata sulle conclusioni di un’indagine parlamentare votata all’unanimità, che prevedeva appunto il “superamento dell’Irap”: “Una riforma che si ponga come principale obiettivo lo stimolo alla crescita non può esimersi dal considerare in modo critico una imposta che ha come base imponibile la remunerazione dei fattori produttivi”, sentenziava il rapporto. A un certo punto persino Vincenzo Visco, vedendo la sua creatura così deformata dal tempo e dai vari interventi legislativi, si era rassegnato a sopprimerla: “E’ evidente che l’imposta attuale è molto diversa da quella originaria, e quindi l’ipotesi di superarla può avere una sua logica”.
Ma dopo che lo spirito di Berlusconi aveva conquistato i cuori e le menti di tecnici e avversari politici, proprio quando nessuno aveva più la forza di difendere l’Irap e tutti si erano convinti o rassegnati a sopprimerla, ecco che arriva un governo del centrodestra forgiato da Berlusconi ad aumentarla di due punti. L’Imposta Rapina è ancora viva e il suo rilancio non poteva che partire dalle banche.