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Titubanze europee

La deregulation di Trump trova l'Europa incerta sulle banche

Stefano Cingolani

L'allentamento dei vincoli voluto dal presidente americano consente di sbloccare circa 2.600 miliardi di dollari in potenziali crediti su scala globale. Ma l'Ue ha deciso di rimandare la revisione del proprio quadro normativo bancario al 2027, sperando che non sia troppo tardi

Un nuovo big bang finanziario sta maturando nella City e a Wall Street, con l’obiettivo di sciogliere i lacci, ammorbidire i cuscinetti e ridurre i salvagenti introdotti dopo la grande crisi del 2008. La deregulation riguarda soprattutto le banche per dare loro maggiore possibilità di competere con i nuovi protagonisti dell’ultima rivoluzione della finanza. Ma anche per liberare capitali e sfamare le Big Tech, impegnate nella corsa per la super intelligenza artificiale. Secondo uno studio pubblicato lunedì, allentare i vincoli consente di sbloccare circa 2.600 miliardi di dollari in potenziali crediti su scala mondiale. Secondo le stime della società di ricerca Alvarez & Marsal anticipate dal Financial Times, Wall Street potrebbe avere una disponibilità di ulteriore capitale per almeno 140 miliardi di dollari, una manna per società come OpenAI alla disperata ricerca di prestiti visto che finora non ha mai prodotto utili e non ha capitali propri a sufficienza.

 

La svolta darebbe anche un spinta consistente all’economia appiattita dal peso dei dazi e in rallentamento anche negli Stati Uniti. La Ue prende tempo, per ora ha prorogato di un altro anno le regole di Basilea, ma si fa sentire anche a Bruxelles la pressione delle grandi banche, soprattutto quelle che si sono sempre più spostate verso gli investimenti come Deutsche Bank o Bnp Paribas. In Italia il governo si accapiglia per mettere nuova zavorra sulle banche accusate dalla Lega di aver guadagnato troppo. Dopo averle spinte ad accantonare riserve per aumentare la loro solidità (circa 6,2 miliardi di utili sono stati messi in cascina), ora vuole imporre loro di sbloccarle pagando allo stato il 27,5 per cento o il 26 per cento se distribuite agli azionisti. Confusion de confusiones, come ha denunciato l’on. Luigi Marattin. Le banche chiedono un rinvio di due-tre anni per i pagamenti congelando benefici fiscali, detrazioni e crediti. Alla nuova deregulation l’Italia oppone una nuova regulation, confermando quanto sia diventata pesante la mano della politica sul sistema creditizio.

 

La spinta liberalizzatrice è stata guidata certamente da Big Money, però l’onda è partita da Londra, ha coinvolto il Canada e adesso è arrivata negli Stati Uniti. Un vero “momento transatlantico” lo ha definito Steven Kelly del programma sulla stabilità finanziaria di Yale. Nel luglio scorso è stata Rachel Reeves, Cancelliere dello scacchiere britannico, a rivelare che il governo laburista sta rivedendo le regole sulla stabilità con l’obiettivo di renderle più semplici e meno stringenti. Musica dolce per JPMorgan, Chase e Goldman Sachs il terzetto che guida il sistema bancario americano. A Londra Hsbc, NatWest, Lloyds Bank e la spagnola Santander avevano inviato alla Reeves una petizione scritta. Quanto a Trump, non vuol essere certo sorpassato da un laburista come Starmer. Il governo britannico in realtà sta cercando di rispondere alla pressione della City riconoscendo che una revisione è necessaria, e gestendola con il maggior equilibrio possibile. Vedremo se basterà, perché una volta calata la prima paratia stagna, sarà difficile fermare la marea.

 

L’Europa continentale è incerta sul da farsi. La Svizzera ad esempio ha deciso di muoversi contro la nuova corrente chiedendo a Ubs condizioni più stringenti con un fardello di 26 miliardi di dollari (il collasso di Credit Suisse nel 2023 brucia ancora). La Ue ha confermato la maggior parte delle regole di Basilea III, introdotte nel 2017. Una revisione è in atto perché anche Bruxelles si rende conto che le condizioni del mercato mondiale dei capitali sono cambiate profondamente, tuttavia il lavoro è lungo, complicato e non sembra esserci accordo, dunque andrà avanti tutto l’anno prossimo e se ne parla dal primo gennaio 2027, alla scadenza del decimo anno, sperando che non sia troppo tardi. “Non parteciperemo a una corsa verso il fondo” ha detto Maria Luis Albuquerque, commissaria ai servizi finanziari. Non dobbiamo pensare che le autorità americane vogliano innescare un nuovo collasso, tuttavia la loro preoccupazione riguarda soprattutto le banche locali attraverso le quali passano i prestiti alla clientela di massa; le big giocano in un girone diverso. In Italia il dibattito è rimasto tra gli addetti ai lavori, mentre il governo e la maggior parte delle forze di opposizione, concentrate sul risiko domestico, non sono consapevoli dei cambiamenti in corso e della loro portata.

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