
Il presidente uscente di Arera Stefano Besseghini (foto Ansa)
editoriali
Un test per disarmare le ideologie
Perché la maggioranza ha il dovere di non trasformare Arera in un marchettificio
La lettera di Arianna Meloni pubblicata sabato sul Foglio tocca un punto cruciale: la necessità che governo e opposizioni lavorino insieme alle riforme istituzionali e, più in generale, sulle partite di lungo termine che dovrebbero unire il paese. Arianna Meloni ha ragione quando scrive che “sarebbe bello confrontarsi con le opposizioni senza i filtri dell’ideologia”. Ecco, c’è subito un’occasione concreta per dimostrarlo. Il governo deve nominare i componenti dell’Autorità di regolazione per energia rete e ambiente (Arera). La procedura di nomina è disciplinata dalla legge istitutiva del 1995 che disegna precisamente un perimetro di collaborazione bipartisan, fin dalla sua approvazione, che vide la convergenza di forze che andavano dal Pds ad Alleanza nazionale.
La legge prevede che i nomi dei componenti siano indicati dal governo tra persone con “competenze di settore” e “indipendenza di giudizio”. I nomi devono poi essere validati da un voto a maggioranza qualificata nelle Commissioni parlamentari competenti, che presuppone un accordo tra maggioranza e opposizione, anche perché il mandato dura sette anni e, dunque, scavalca la durata della Legislatura: l’Autorità, dunque, deve essere di garanzia per tutti, sia dal punto di vista politico, sia da quello della credibilità presso i soggetti regolati e della capacità di resistere alla cattura da parte degli interessi particolari. La nomina, che avrebbe dovuto essere fatta nel mese di agosto, non può slittare oltre i primi di ottobre, quando termina il periodo di prorogatio del collegio uscente. Eppure, la politica non riesce a trovare un compromesso, anche perché molti dei nomi che circolano non dispongono delle competenze necessarie o scontano una appartenenza troppo marcata. Il governo proponga una cinquina di esperti scelti per le qualifiche, non per la spartizione; l’opposizione incalzi l’esecutivo sul fronte delle competenze; le commissioni votino; il collegio parta. Si darebbe certezza a un settore fondamentale per la competitività del paese. E si eviterebbe il decreto legge alla scadenza della prorogatio, che sarebbe uno smacco per un governo deciso ad agire.