
Landini e il fiscal drag, storia di una mistificazione (o di un'incomprensione)
Il leader della Cgil chiede al governo di restiturie a tutti i lavoratori 24 miliardi di drenaggio fiscale: ma il governo ne ha già distribuiti 18 miliardi ai più poveri. Il sindacato chiede di tagliare le tasse ai più "ricchi"?
Dopo la sconfitta referendaria, Maurizio Landini torna all’attacco sui temi del lavoro. Ma sempre con lo stesso metodo: manipolare la realtà. Abbandonati i dati falsi sui contratti usate per il referendum contro il Jobs Act, ora si passa alle questioni fiscali. “Il governo deve mille euro a ogni lavoratore”, è il titolo dell’intervista a Repubblica del leader della Cgil, ricalcando le performance di Silvio Berlusconi (“Aumenteremo le pensioni a mille euro”, diceva in campagna elettorale) e di Giorgia Meloni (“Bisogna dare subito mille euro con un semplice click”, diceva la premier quando era all’opposizione). Ma quali sono i soldi che il governo dovrebbe restituire a lavoratori e pensionati?
“Sono le tasse in più pagate in questi anni per effetto del drenaggio fiscale: 24 miliardi di maggiore Irpef” risponde Landini, dicendo una cosa formalmente vera ma sostanzialmente falsa. “C’è chi non ha i soldi per curarsi e nemmeno per andare al mare – dice il segretario generale della Cgil –. Per questo chiediamo la restituzione del fiscal drag. Tra il 2022 e il 2024 lavoratori e pensionati hanno versato 24 miliardi di Irpef in più perché scaglioni e detrazioni non sono stati rivalutati all’inflazione. Per un reddito di 30 mila euro significa circa mille euro persi. Quelle somme vanno restituite subito, anche con un conguaglio fiscale".
Andiamo con ordine. Il fiscal drag (o drenaggio fiscale) è l’aumento delle imposte dovuto all’interazione tra inflazione e aliquote progressive: quanto più è forte l’aumento dei prezzi e quanto più è progressivo il sistema fiscale, tanto più aumenta la pressione sul reddito reale. Lo stato, grazie all’inflazione, senza alcuna modifica legislativa, ma semplicemente tenendo fermi gli scaglioni Irpef, si prende una fetta più grande del reddito lordo dei contribuenti. Senza fare nulla, aumenta la pressione fiscale. Questo effetto è stato molto forte nel triennio 2021-2023: l’inflazione cumulata del 17% continua a garantire al Tesoro un drenaggio fiscale di circa 25 miliardi annui, secondo i calcoli fatti da Leonzio Rizzo e Marco Leonardi sul Foglio diversi mesi fa. Su questo non ci sono dubbi. Dov’è quindi la mistificazione di Landini?
Da quello che sostiene sembra che il governo ha prelevato 24 miliardi in più dai lavoratori e se li è tenuti e che, quindi, per fare giustizia dovrebbe restituire il maltolto a ogni contribuente Irpef. Ma non è questa la realtà. Perché il governo Meloni ha impiegato circa 18 miliardi di euro per fare una riforma fiscale (la decontribuzione, poi trasformata in un bonus più detrazione, e l’accorpamento di un’aliquota Irpef) a favore dei redditi inferiori a 35 mila euro annui. Che effetto ha avuto questa riforma? In sostanza, ha reso l’Irpef più progressiva e ne ha aumentato la capacità redistributiva: in sostanza, è andata a vantaggio dei redditi più bassi.
E il fiscal drag? Secondo un’analisi fatta dall’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb), il fiscal council indipendente che controlla i conti e valuta le politiche pubbliche, le due misure del governo Meloni (decontribuzione e taglio dell’Irpef) “hanno più che compensato il drenaggio fiscale nell’area di applicazione dello sconto contributivo”, ovvero fino a 35 mila euro, mentre “nell’area in cui la decontribuzione non si applica”, ovvero sopra i 35 mila euro, “gli effetti del drenaggio fiscale risulterebbero più rilevanti dei benefici derivanti dalla riforma Irpef”. Detto in parole povere: i redditi medio bassi hanno avuto di più di quanto gli è stato tolto con il fiscal drag, mentre i redditi medio-alti di meno. Vuol dire, in sostanza, che il fiscal drag ha colpito soltanto i redditi medio-alti.
Una conferma arriva dall’ultimo rapporto annuale dell’Inps, che ha analizzato l’andamento delle retribuzioni tra il 2019 e il 2024. Se sui salari lordi i lavoratori hanno perso il 9,1%, perché le retribuzioni sono cresciute dell’8,3% a fronte di un’inflazione del 17,4%, lo stesso non si può dire per le retribuzioni nette. Includendo i provvedimenti fiscali del governo, l’Inps mostra nella sua analisi che le retribuzioni nette sono aumentate molto di più di quelle lorde: circa il doppio per i redditi medio-bassi. Nel caso della retribuzione mediana (33 mila euro) il netto in busta paga ha quasi pareggiato l’inflazione: significa che, con i provvedimenti fiscali, quei lavoratori hanno recuperato non solo il fiscal drag ma anche la perdita di potere d’acquisto che i sindacati non sono riusciti a recuperare con la contrattazione.
Pertanto, il governo non deve “restituire” il fiscal drag a tutti i lavoratori, ma solo a una piccola parte: quella più “ricca” (anche se usare questo aggettivo per redditi da 35 mila euro in su è un po’ eccessivo). In pratica, se l’idea di Landini è quella di ritornare al sistema fiscale pre-inflazione, la sua richiesta è quella di rendere il sistema fiscale meno progressivo: ovvero tagliare le tasse ai redditi medio-alti. Che, tra l’altro, è la richiesta di Forza Italia al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti per la prossima legge di Bilancio.


la regolamentazione
Il nuovo Codice della crisi d'impresa soffoca le startup innovative

Editoriali