
(Ansa)
I dati
La forte revisione al ribasso dell'Istat ora mostra un quadro dell'occupazione più coerente
L'istituto di statistica ha segnalato che ci sono 120 mila occupati in meno di quelli che stimava appena un mese fa. I numeri del lavoro nel nostro paese
In Italia sono spariti 120 mila occupati e nessuno se n’è accorto. O meglio, l’Istat ha segnalato che ci sono 120 mila occupati in meno di quelli che stimava appena un mese fa. Lunedì, l’Istat ha pubblicato i dati sul mercato del lavoro relativi a luglio 2025. Il quadro congiunturale è positivo: gli occupati sono aumentati di 13mila unità su base mensile, mentre i disoccupati sono diminuiti di 74mila unità. Il tasso di occupazione è salito al 62,8 per cento (+0,1 punti rispetto a giugno) e il tasso di disoccupazione è sceso al 6,0 per cento (–0,3 punti), tra i livelli più bassi dagli anni Ottanta. Migliora la disoccupazione giovanile, che si attesta al 18,7 per cento, in calo di 1,4 punti nel mese. Sotto la superficie, il dettaglio ha segnalato qualche ombra come l’aumento marginale degli inattivi (+30mila unità), ma nel complesso, l’istantanea di luglio restituisce quasi solo buone notizie. Il punto, però, non è la fotografia dell’ultimo mese ma il film dell’ultimo anno.
Con il primo mese di ogni trimestre (gennaio, aprile, luglio, ottobre) l’Istat infatti pubblica una nuova serie grezza e ricalcola la serie destagionalizzata rivedendo la storia recente. E’ un passaggio tecnico ma decisivo. I primi numeri pubblicati si basano su informazioni incomplete ed è normale che siano riviste nei mesi successivi. Quando la stima viene aggiornata, come successo qualche giorno fa, cambia non solo l’ultimo dato, ma anche la traiettoria dei mesi precedenti. E questo è il punto centrale, passato inosservato nel dibattito. Nella nuova serie destagionalizzata, gli occupati totali a luglio si collocano a 24milioni e 217mila. Il confronto con la vecchia versione chiarisce la portata della revisione: a giugno la serie precedente indicava 24milioni e 326mila persone al lavoro; ora invece il dato di giugno 2025 è ricalcolato a 24milioni e 205mila. Detto altrimenti: il livello dell’occupazione è stato rivisto al ribasso di circa 120mila unità (addirittura di 164 mila nella serie grezza). La correzione cumulata degli occupati nell’ultimo anno è di circa -0,5 punti. Le revisioni fanno parte del mestiere delle statistiche ufficiali; questa è però significativa e va interpretata.
Dai dati sembrano emergere due segnali. Primo: il mercato del lavoro italiano è un po’ meno surriscaldato di quanto sembrasse nei mesi scorsi. Al momento non è allarmante, ma la pressione appare più moderata. Secondo e più importante: la velocità di crociera è scesa. Nella nuova serie dell’Istat, su base tendenziali (luglio 2024–luglio 2025), gli occupati sono aumentati di 218mila unità. Nella serie Istat precedente, invece, viaggiavamo oltre 400mila l’anno, con punte prossime al mezzo milione. Ovvero, la crescita tendenziale dell’occupazione si è dimezzata ed è tornata al ritmo pre-Covid (2017–2019), quando viaggiavamo intorno a 200mila occupati in più ogni dodici mesi. Detto in altri termini, il boom occupazionale sembra alle spalle e oggi siamo più vicini al potenziale che a una fase di espansione straordinaria. Questa normalizzazione, per giunta, aiuta a risolvere il cosiddetto “puzzle occupati-output”. Per anni l’occupazione è aumentata a un ritmo molto più elevato del pil, sollevando interrogativi su produttività, misurazione e composizione dell’impiego. Nell’ultima lettura, la crescita tendenziale degli occupati è ormai allineata (o appena superiore) a quella del pil, suggerendo che l’economia italiana negli ultimi dodici mesi si è stabilizzata attorno al suo modesto potenziale, ben inferiore all’1 per cento. Non è la soluzione definitiva del rebus – le stime possono ancora cambiare – ma è un segnale coerente fra indicatori – occupazione, produttività e pil – che per anni hanno raccontato storie diverse.
Ovviamente occorre prudenza perché le serie potranno essere nuovamente riviste fra tre mesi. Ma il messaggio che arriva dal mercato del lavoro è oggi in sintonia con la contabilità nazionale, sia sul livello sia sul tasso di crescita. E qui si apre il capitolo della politica di bilancio. Tra 2021 e 2025 l’Italia ha beneficiato di anni di crescita robusta; quel ciclo avrebbe dovuto tradursi in un avanzo primario solido e in una riduzione del debito. Ma non è accaduto. Ora che occupazione e attività sembrano essersi normalizzate, restiamo con un debito molto alto e con un avanzo primario modesto (inferiore all’1 per cento) per le nostre esigenze fiscali. C’è un altro aspetto rilevante. Appena un mese fa, Donald Trump ha licenziato la capa del Bureau of Labor Statistics (Bls), Erika McEntarfer, dopo che l’agenzia governativa che pubblica i dati sul mercato del lavoro ha rivisto al ribasso di 250 mila unità il numero degli occupati: una correzione inferiore a quella dell’Istat in rapporto alla popolazione, dato che gli occupati negli Stati Uniti sono circa sei volte quelli italiani. A Trump la revisione non è piaciuta e ha così messo a capo del Bls un fedelissimo come E. J. Antoni. Per fortuna, in Italia nessuno si sogna di aggredire l’Istat per le revisioni sui dati sull’occupazione, che alla fine sono un segno di affidabilità.
