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l'analisi

Dazi senza lagne. Perché una guerra commerciale Usa-Cina potrebbe giovare all'export Ue

Guido Ascari Riccardo Trezzi

L’accordo del 27 luglio può aprire scenari inaspettati: i dazi determinano nel tempo una distorsione del commercio internazionale sui mercati globali. Il vantaggio Ue su Cina e Svizzera

Con questo intervento ci permettiamo di dissentire dalle riflessioni di Ferruccio de Bortoli pubblicate sul Corriere della Sera, secondo cui il 27 luglio 2025 sarebbe un giorno di cui vergognarsi. Quel giorno ha segnato la firma di un accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea che, seppur data l’imposizione dei dazi, può rivelarsi un’opportunità per l’Europa. Il rischio è che questa opportunità venga sprecata. La Commissione europea si è trovata in una posizione difficile. Immaginate un allenatore che sa di dover giocare contro una squadra più forte fisicamente avendo a disposizione dei giocatori, singolarmente forti, ma che non fanno squadra. Supponiamo che l’allenatore avversario proponga di sedervi a un tavolo per evitare la partita. Un allenatore realista non mostrerebbe i muscoli, ma accetterebbe, suo malgrado. Questa la situazione di fronte alla quale si è trovata Von der Leyen.


Alcuni osservatori sostengono che l’unica risposta adeguata sarebbe stata quella di reagire con la stessa durezza, imponendo contro-dazi. Noi dissentiamo poiché una risposta speculare avrebbe prodotto nuovi danni e ulteriori tensioni – vedasi il caso cinese. Per l’Europa, accettare il negoziato non significa una resa ma la consapevolezza della forza dell’interlocutore americano, dell’effetto boomerang che i dazi provocano su chi li impone e della natura di lungo periodo delle relazioni economiche. Le critiche alla Commissione europea sono per noi eccessive, soprattutto se si considera che le tariffe imposte a Bruxelles sono tra le più basse: alla Svizzera è toccato un rincaro del 39 per cento e alla Cina addirittura del 50 per cento. Ovviamente non è una buona notizia ma nemmeno una catastrofe se si tiene conto del fatto che i dazi rappresentano uno shock negativo soprattutto per chi li impone: aumentano i prezzi all’importazione, riducono le quantità prodotte e scambiate, e finiscono per pesare sulle tasche dei consumatori. Ovvero, ci si dimentica del concetto di traslazione dell’imposta: chi pagherà i dazi? Soprattutto i consumatori americani. Non a caso, gli ultimi dati statunitensi mostrano una ripresa dell’inflazione mentre il mercato del lavoro inizia a rallentare.


C’è poi un aspetto spesso trascurato: i dazi distorcono l’utilizzo delle risorse. Quando si tassano prodotti come le magliette sportive provenienti dal Vietnam per rilocalizzare la produzione negli Stati Uniti, si finisce per spostare capitale e lavoro verso settori a basso valore aggiunto a scapito di quelli tecnologicamente più avanzati e redditizi.  Inoltre, i dazi determinano nel tempo una distorsione del commercio internazionale sui mercati globali. Ed è proprio qui che l’accordo del 27 luglio può aprire scenari inaspettati. Per quanto il 15 per cento di dazio sia penalizzante, un’impresa europea che compete con omologhe cinesi o svizzere guadagna oggi un vantaggio relativo rispettivamente del 35 e del 24 per cento sul mercato americano e anche sulle imprese americane nei mercati svizzeri e cinesi, al netto delle variazioni nei tassi di cambio. Invece spesso si valutano solo gli aspetti negativi. Facciamo un esempio concreto su un settore molto dibattuto per la sua centralità, come quello automobilistico. Dopo i dazi la paura di molti è di essere invasi da macchine cinesi a basso prezzo, specialmente quelle elettriche, già cresciute molto negli ultimi anni. Possibile. Però, sorprenderà i più scoprire che l’Europa ha un avanzo commerciale nel settore automobilistico. Nel 2024, l’Ue ha esportato automobili per un valore di 165,2 miliardi di euro (circa 0.9 per cento del pil Ue) e ne ha importate per 75,9 miliardi di euro, con un surplus commerciale di 89,3 miliardi di euro. In particolare, esporta negli Usa e nel Regno Unito, mentre importa soprattutto da Cina e Giappone.

E sorprenderà ancora di più scoprire che l’Ue ha un surplus commerciale anche nei soli veicoli elettrici! Nel 2023, le importazioni di automobili ibride o solo elettriche sono state di 48.3 miliardi (49 per cento dalla Cina) e le esportazioni di 62.5 miliardi. E sui mercati dove esportiamo (soprattutto quello americano) la nostra situazione competitiva è appunto migliorata rispetto ad altri paesi esportatori. Questi numeri nascondono ragionamenti più complessi che qui non possiamo fare circa le catene globali del valore, la differenze fra beni finali e beni intermedi, la quantità di valore aggiunto estero sull’export, la sostituibilità o complementarietà’ dei nostri prodotti con quelli americani o cinesi, etc. Il messaggio è: diffidate dai numeri che girano, perché calcolare gli effetti è molto complesso, e una guerra commerciale fra Usa e Cina potrebbe in realtà essere un’opportunità per le imprese esportatrici europee.


Infine, i margini per migliorare la competitività interna sono ancora vasti. Gli studi lo confermano: le barriere non tariffarie tra paesi Ue pesano molto più dei dazi americani. Eppure, l’indignazione suscitata dalle scelte di Washington non trova eco nell’inerzia che da anni impedisce la creazione di un vero mercato unico europeo. Perché scandalizzarsi per le tariffe di Trump e non per le resistenze dei paesi europei? La verità è che, dati i rapporti di forza, la Commissione europea aveva ben pochi margini d’azione. Ha scelto di ridurre i danni, limitando gli effetti negativi di una guerra commerciale. L’Europa è ancora in tempo per trasformare questa crisi in una svolta. A patto che si decida finalmente di investire seriamente nel proprio mercato interno. Se non ora, quando? 

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