
I paradossi della Sugar Tax, dal rinvio di Meloni al raddoppio di Schlein
Il governo posticipa al 2026 la tassa sugli zuccheri, anziché abolirla. Il Pd, che l'ha inventata nel 2020 e l'ha sempre rimandata, ora vuole aumentarla. Ma l'imposta è un rischio strategico per il Made in Italy agroalimentare
Nel Consiglio dei ministri di ieri, il governo ha tirato un altro calcio alla lattina della Sugar tax: rinviata al 1° gennaio 2026. È così da ormai sei anni. L’imposta sulle bevande zuccherate è stata introdotta dal governo Conte II con la legge di Bilancio 2020 ma non è mai entrata in vigore: da allora c’è sempre stata, ma non è mai esistita. Sempre rinviata, di anno in anno, ora di semestre in semestre. Pertanto il governo, a pochi giorni dall’entrata in vigore il 1° luglio, ha trovato 142 milioni di euro per spostare la Sugar tax all’anno nuovo, e già a settembre dovrà mettersi a cercare altre risorse per rinviarla ancora nella prossima legge di Bilancio.
Non si tratta di grandi cifre. Servirebbero circa 300 milioni strutturali per togliere di mezzo questa che, più che una tassa, è diventata una finzione contabile nel bilancio dello stato: si dice all’Europa, e ai mercati, che l’imposta non c’è oggi ma ci sarà l’anno prossimo, sul cui bilancio viene posta come entrata. È, insomma, una riedizione microscopica delle clausole di salvaguardia sull’Iva. Sebbene sia sempre complicato trovare delle coperture, è difficile pensare che la politica di bilancio del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti stia in piedi grazie alla Sugar tax: se a un certo punto il paese è riuscito a togliere di mezzo la finzione delle clausole di salvaguardia sull’Iva, che valevano circa 20 miliardi, non ci dovrebbero essere problemi a fare a meno dei finti 300 milioni della Sugar tax.
Più surreale della tassa stessa, però, è la posizione di chi l’ha inventata. Il Pd, con grande fiuto politico, pochi giorni prima che il governo rinviasse la Sugar tax, ha proposto di raddoppiarla, prevedendo scaglioni e aliquote progressive (una sorta di Irpef degli zuccheri). Così, il partito che ha sempre rinviato la tassa che aveva inventato quando era al governo, vuole introdurla ora che è all’opposizione. Accusando, peraltro, il governo Meloni di fare esattamente ciò che ha fatto il Pd quando si trovava al suo posto: rinviare. Ora, dice l’on. Marco Furfaro, responsabile Welfare del Pd, con Elly Schlein alla guida la Sugar tax è diventata “una bandiera del Pd”. La proposta di legge è stata elaborata dalla deputata Eleonora Evi (ex M5s), Nataliya Gera (“Health coach e postural trainer” popolare su Instagram ) e il dottor Franco Berrino (già star del blog di Beppe Grillo e venditore di corsi di cucina su “La fucina”, vecchio sito della galassia Casaleggio Associati). Insomma, il Pd di Schlein si è preso tutto il pacchetto del M5s di dieci anni fa, da cui persino l’attuale M5s di Giuseppe Conte ha preso le distanze, e ne ha fatto “una bandiera”.
L’abolizione della Sugar tax non è necessaria solo per dare certezza alle imprese, ma dovrebbe avere un valore strategico per tutto il settore agroalimentare italiano. A settembre di quest’anno, alle Nazioni Unite ci sarà il quarto vertice di alto livello sulle malattie non trasmissibili (problemi cardiovascolari, cancro, diabete, obesità, malattie respiratorie, etc.), a cui potrebbe partecipare direttamente la premier Giorgia Meloni, dove si parlerà anche di stili alimentari e delle politiche da adottare fino al 2050 riguardo diete e cibi considerati “non salutari”.
Sul tavolo della discussione ci sono misure come etichettatura sulle confezioni, riduzione dell’attività di marketing, limiti alla pubblicità e alle sponsorizzazioni, tasse, divieti di vendita in determinati contesti. Si tratta, insomma, di decidere se applicare anche agli alimenti lo stesso approccio usato contro il tabacco. Questa prospettiva, che ha anche dei limiti scientifici e di efficacia (i cibi non sono come le sigarette), rappresenta una minaccia per l’industria e la tradizione agroalimentare italiana, perché le valutazioni sulla salubrità dei cibi colpirebbero sostanze come zuccheri, sale e grassi – a prescindere dal loro consumo in una dieta equilibrata – che sono elementi fondamentali della produzione italiana.
Il rischio, insomma, è che tra i “cibi non sani” possano rientrare molti prodotti tipici italiani come vini, formaggi, salumi, olio d’oliva, dolci, conserve di pomodoro. D’altronde, le norme sanitarie, come è noto, sono un pretesto formidabile in mano agli stati per imporre politiche commerciali protezionistiche: si alzano barriere (tariffarie e non) attraverso quegli strumenti – dal Nutriscore, alle etichette allarmistiche fino alle tasse – che preoccupano molto il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, e contro cui l’Italia si è sempre battuta, in tutte le sedi, a prescindere dal colore politico dei governi.
Se la linea dell’Italia è di contrarietà a etichette allarmistiche e tasse sugli alimenti perché danneggiano il Made in Italy e colpiscono la Dieta mediterranea, eliminare la Sugar tax dal proprio ordinamento è un elemento di coerenza che aiuta a essere più credibili nei consessi internazionali. Se altrimenti tassi lo zucchero nelle bevande, non potrai poi lamentarti se gli altri faranno lo stesso con l’alcol nei vini, i grassi nei formaggi, il sale nel prosciutto e le carni rosse negli insaccati.

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