
Il ministro Urso al Tavolo su La Perla a Bologna (Ansa)
La Perla è salva, Urso segna un punto. Ma i grandi casi industriali sono altri
Festeggiano i sindacati, il sindaco di Bologna e Schlein. Ma Calzedonia non è l’Ilva, e l’intimo non è l’acciaio per il quale i sindacati chiedono a questo punto la nazionalizzazione. Intanto dagli Stati Uniti arriva l'allarme per Pirelli: un caso particolarmente ingarbugliato
Bologna. Prima il dovere poi il piacere, o forse il contrario. Prima di partecipare all’assemblea della Confindustria, martedì mattina il ministro per il made in Italy Adolfo Urso si è recato in fabbrica e ha annunciato urbi et orbi: La Perla è salva. Con le maiuscole perché si tratta dell’azienda di abbigliamento intimo che, passata di mano in mano nel corso degli anni, dal 2023 rischiava di chiudere i battenti per sempre. Il salvataggio una volta tanto non è di stato. Infatti è stato raggiunto un accordo di massima con un investitore che garantirà marchio e occupazione a 210 lavoratori. Il nome verrà allo scoperto solo il 10 giugno, ma si era parlato di Sandro Veronesi ex di Calzedonia che già si era interessato del caso.
Festeggiano i sindacati, il sindaco di Bologna Matteo Lepore, Elly Schlein. Prima di bere troppo champagne meglio vedere le carte, tuttavia sembra una buona soluzione a uno dei tavoli di crisi aperti al ministero. Calzedonia non è l’Ilva, Bologna non è Taranto, l’intimo non è l’acciaio per il quale i sindacati chiedono a questo punto la nazionalizzazione. Le trattative con il gruppo azero Bku Steel è sul filo della rottura e viene chiamato in causa lo stato padrone, soluzione che Urso non ha intenzione di sostenere, almeno per il momento. Nel frattempo un altro grande caso industriale chiama un nuovo probabile intervento della mano pubblica. Il governo americano, scrive l’agenzia Bloomberg, ha avvisato Pirelli che i veicoli che montano la tecnologia CyberTyre potrebbero subire limitazioni nella vendita sul mercato americano. Questo a causa dell’investitore cinese Sinochem che possiede il 37 per cento della Pirelli. Subito dopo la notizia, il titolo è crollato. Il governo con un intervento ad hoc ha cercato di calare una cortina tra la governance affidata a Marco Tronchetti Provera azionista con la Camfin che detiene il 24 per cento e la proprietà cinese, ma per Washington non basta. Il caso è particolarmente ingarbugliato: per indurre Sinochem a uscire occorrono quasi tre miliardi di euro e in ogni caso non sembra che Pechino voglia mollare.