
(foto Ansa)
la ricostruzione
Ilva, cronaca del fallimento di un'industria senza facoltà d'uso
Dodici anni di sequestri, decreti, commissari, processi e promesse mancate: la parabola dell'acciaieria di Taranto tra disastro ambientale, crisi industriale e un futuro ancora incerto
Taranto. La chiusura dell’Ilva, il più grande polosiderurgico d’Europa, inizia il 26 luglio 2012, quando il gip di Taranto Patrizia Todisco dispone il sequestro senza facoltà d’uso di tutto lo stabilimento di Taranto. L’accusa è di disastro ambientale. Lo stesso gip, il 26 novembre, dispone il sequestro del prodotto finito e semilavorato accatastato in banchina: 1,8 milioni di tonnellate d’acciaio del valore di 1 miliardo di euro. Il custode giudiziario è Barbara Valenzano, pupilla di Michele Emiliano (più volte candidata senza successo). Il governo Monti vara il primo decreto “salva Ilva”: di fatto consente la facoltà d’uso, anche sotto sequestro, per 36 mesi, quelli necessari per l’adeguamento ambientale. La procura di Taranto impugna il decreto del governo in Corte costituzionale. Il 9 aprile la Consulta emette una sentenza storica, destinata a fare giurisprudenza (anche in pandemia): il diritto alla salute non è preminente rispetto al diritto al lavoro, tutti devono essere equilibrati. Nel caso di specie il bilanciamento tra i diritti si ritrova nel rispetto del piano ambientale. Il 24 maggio il gip Todisco dispone un sequestro di 8 miliardi di euro sul patrimonio della famiglia Riva: a suo dire la legge Monti non esige dal’Ilva adeguate garanzie finanziarie per gli investimenti ambientali. Si dimettono tutti i dirigenti.
Arriva il governo Letta e decide di commissariare l’Ilva, espropriando i Riva senza indennizzo. E definendo Ilva “sito di interesse strategico nazionale”, in modo da poter concedere la facoltà d’uso per decreto, superando la procura. Farà di più il governo Renzi, quando introdurrà lo scudo penale: i gestori non possono essere indagati per reati ambientali mentre stanno compiendo le opere prescritte dal piano ambientale. Tra le prescrizioni c’è il rifacimento di Afo5: l’altoforno più grande d’Europa, che sforna il 40 per cento dell’acciaio Ilva, viene spento per essere ammodernato. Rimarrà chiuso per sempre. Nonostante lo scudo, nel 2015 la procura sequestra senza facoltà d’uso l’Altoforno 2, a seguito della morte di un operaio. Siamo ancora in gestione commissariale. Il governo Renzi assicura la continuità produttiva grazie a ripetuti prestiti, ma senza Afo2 non si può andare avanti. Vara così un decreto per rilasciare la facoltà d’uso. In questo caso però la Corte, appellata dalla procura, definirà il decreto incostituzionale.
Dopo dieci anni arriva la sentenza di primo grado del processo a Taranto, con condanne pesantissime per dirigenti e politici: fu disastro ambientale. L’impianto resta sotto sequestro. I legali impugnano la sentenza. La Corte costituzionale stabilisce che il collegio dei giudici non era imparziale. I giudici non potevano decidere sull’Ilva e il processo, dopo dieci anni, deve ricominciare dalla prima udienza, ma a Potenza. Non avrà mai fine. Nel frattempo Ilva viene stata venduta al più grande acciaiare del mondo: ArcelorMittal. Ma il governo Conte toglie lo scudo penale. Siamo nel 2019 e la procura di Taranto riparte alla carica ed emette un’altra ordinanza di sequestro senza facoltà d’uso su Afo2, per gli stessi fatti del 2015: secondo il custode Barbara Valenzano non erano state rispettate le prescrizioni ambientali. Passeranno altri mesi, e alla fine la Consulta ne rilascerà facoltà d’uso. Ma ArcelorMittal non può andare avanti così.
Arriviamo al Conte II: il ministro Gualtieri decide di intervenire con l’ingresso di Invitalia. La situazione precipita. Siamo al governo Meloni: il ministro Urso accusa ArcelorMittal di aver distrutto l’azienda, e gliela sequestra con un secondo commissariamento. Reintroduce lo scudo penale e la rimette in vendita. Nel frattempo dice di averla salvata e inaugura la riapertura di Afo1 dopo i lavori di ripristino. Dopo sei mesi su quell’altoforno scoppia un incendio, senza feriti. La procura, nonostante lo scudo penale, per l’ennesima volta lo sequestra senza facoltà d’uso, indagando i dirigenti per getto di sostanze pericolose. Altre mille persone in cassa integrazione, piano industriale compromesso, vendita sfumata, soldi finiti e disastro economico compiuto. Da magistrati, commissari e governi.


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