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L'Italia arriverà a breve al 2 per cento del pil per le spese militari. Ma come farà?
L'idea del ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti di aggiungere alle voce contabili per il calcolo della spesa poste che adesso non sono inserite nel computo non sembra una soluzione accettabile per gli alleati europei ed americani. Eppure il governo non ha ancora annunciato alcuna manovra di bilancio correttiva per raggiungere l'obiettivo
Dopo 19 anni dalla promessa fatta alla Nato, l’Italia raggiunge finalmente il 2% del Pil in spesa per la difesa. In ritardo rispetto al resto del gruppo – siamo uno degli ultimi Paesi membri a riuscirci – ma prima di quanto il Governo stesso aveva previsto (i documenti ufficiali parlavano di 2028). Ad annunciarlo è stata la stessa Presidente del Consiglio durante il question time al Senato.
Fatto l’annuncio, ora bisogna fare i conti con i suoi costi. Oggi l’Italia spende circa l’1,6 per cento del Pil per le proprie forze armate. Mezzo punto in più vale pressappoco 10 miliardi di euro. Da trovare ogni anno, dal 2025 in avanti. Improbabile riuscirci senza una manovra correttiva, che per ora però è stata esclusa dal Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “Meglio aspettare il vertice Nato di giugno” è la posizione prudente del Ministro, quando con ogni probabilità l’obiettivo del 2 per cento sarà ritoccato al rialzo fino al 3,5 in modo da accontentare le richieste, ben più esose a dire il vero, dell’alleato americano. E così ricomincerà la rincorsa italiana, appena raggiunto l’obiettivo minimo.
Resta da capire come il Governo intenda trovare 10 miliardi di euro in più senza una manovra correttiva (e dunque senza aumentare l’imposizione fiscale, ridurre altre voci di spesa pubblica o incrementare il deficit). Una risposta chiara ancora non c’è, ma alcuni indizi sono stati lasciati dalle dichiarazioni dei ministri. Giorgetti lo scorso 9 aprile aveva detto di ritenere che “in base ai nostri criteri di contabilizzazione di essere già in linea con la richiesta del 2 per cento”. 10 miliardi sono stati trovati nelle pieghe del bilancio? Non se ne ha notizia. Ciò che è emerso da indiscrezioni è che il Ministero dell’Economia sarebbe intenzionato a modificare i criteri di misurazione della spesa pubblica per la difesa. Si dice che includere i costi delle operazioni della Guardia Costiera e le spese per la sicurezza informatica degli apparati pubblici permetterebbe all’Italia di dirsi già oggi in linea con il 2 per cento.
Qui sorge il problema. I criteri contabili – vale a dire cosa includere nella spesa per la difesa per raggiungere il 2 per cento – non li decide un singolo Paese, bensì tutti gli alleati della Nato. Toccherà convincere l’alleanza che le navi della Guardia Costiera sono un assetto di difesa contro le incursioni della flotta russa – e dei suoi sommergibili nucleari – nel Mediterraneo. Già oggi il budget misurato dall’alleanza atlantica tiene conto anche di altre voci di bilancio rispetto a quelle del Ministero della Difesa. L’Italia infatti oggi include non solo i fondi dedicati dal dicastero guidato da Crosetto, ma anche alcune spese gestite dal Ministero delle Imprese, le pensioni del personale militare pagate dall’Inps e i costi delle missioni internazionali dei Carabinieri. I margini di interpretazione ci sono: nel decennio scorso, per esempio, il Regno Unito riuscì a includere nella spesa Nato un paio di miliardi in più, soprattutto grazie ai costi delle missioni internazionali. Riuscì così a superare il 2 per cento, ma partiva dall’1,97. Un conto è un arrotondamento, un altro è colmare una distanza di mezzo punto percentuale.
Difficile dunque convincere gli alleati europei e americani che non siano necessari nuovi investimenti italiani per la difesa. Soprattutto ora che gli strumenti per finanziarli esistono, anche grazie alle continue insistenze del Governo italiano. 16 Stati europei hanno chiesto lo scorporo delle spese per la difesa dal Patto di Stabilità europeo, ma non l’Italia che pure aveva chiesto per anni – inascoltata – questa possibilità. La Spagna per ora ha deciso di non avvalersene, ma metterà comunque sul piatto 10,4 miliardi di euro in più quest’anno per arrivare al 2 per cento.
Al di là delle questioni contabili, rimane l’incapacità di proteggere il territorio nazionale all’attuale livello di finanziamento (e con l’incertezza dell’impegno americano nella Nato). A dirlo non siamo noi, ma è stato lo stesso Ministro Crosetto nei mesi scorsi: oggi l’Italia di fronte a un’invasione come quella russa o a un bombardamento come quello iraniano nei confronti di Israele non sarebbe stata in grado di difendersi. E non sarà certo la Guardia Costiera a proteggerci.