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il colloquio

I dazi minacciano l'export agroalimentare, Napoli (Anci): “La crisi colpirà anche i comuni”

Ilaria Coppola

"Le amministrazioni dovranno sostenere i costi sociali di eventuali licenziamenti e cassa integrazione. Ci vogliono investimenti forti, una sburocratizzazione che diminuirebbe i costi e la riduzione del prezzo dell'energia", dice il vicepresidente Anci, con delega a Commercio e Made in Italy

“I dazi degli Stati Uniti colpiranno fortemente le esportazioni del settore agroalimentare e ne risentiranno di conseguenza anche i comuni, che sono il cuore della produzione di qualità italiana”, dice al Foglio Osvaldo Napoli. Il vicepresidente dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) con delega alle Attività produttive, commercio e Made in Italy, non nasconde la preoccupazione, dopo l'entrata in vigore dei dazi pari al 20 per cento per tutti i prodotti provenienti dall’Unione europea, annunciati dal presidente americano durante il “Liberation day”.

Nel 2024, l'export agroalimentare italiano ha raggiunto i 69,1 miliardi di euro, con un incremento dell’8 per cento rispetto all'anno precedente. Tra i prodotti più esportati, il vino mantiene il primato con un valore di 8,1 miliardi di euro, seguito da ortofrutta fresca (6,5 miliardi), ortofrutta trasformata (5,7 miliardi), formaggi (5,4 miliardi) e pasta (4,3 miliardi). “Il settore del vino, che è un settore medio-alto, subirà sicuramente il contraccolpo. Su questo non ci sono dubbi. Così come sarà per i prodotti Igp e Dop”, dice Napoli. Le esportazioni di prodotti certificati sono, infatti, uno dei punti di forza dell’economia agricola italiana. I dati del 2024 di Ismea-Qualivita, confermano il peso strategico del comparto. Il valore alla produzione delle filiere Dop e Igp agroalimentari e vitivinicole ha raggiunto 20,2 miliardi di euro, con una crescita del 5,5 per cento rispetto al 2023. L’export di prodotti certificati è stato di 12,1 miliardi di euro, con il settore vinicolo che da solo vale 6,6 miliardi.

Un aspetto fondamentale sottolineato dal vicepresidente dell’Anci è il legame tra la produzione agroalimentare e i piccoli comuni italiani. “A essere colpiti dalla crisi, sarebbero in maniera indiretta i piccoli comuni, perché questi hanno grandi produzioni agricole. Le aree rurali italiane ospitano la maggior parte della produzione agricola certificata. La produzione di prodotti come mais, vino, formaggi non avviene nelle grandi città. Ma in paesi piccoli, che dipendono fortemente da queste attività". Un esempio è il comune di San Daniele in Friuli Venezia Giulia, l’unico in cui si produce il prosciutto nelle 31 aziende aderenti al Consorzio. "Ha poco più di 8 mila abitanti e - spiega Napoli - se la produzione andasse in crisi ne risentirebbe l'intero territorio”.

Il rischio è che una riduzione dell'export si trasformi in un problema occupazionale: “Nel momento in cui queste aziende dovessero entrare in crisi, il problema sociale sarebbe inevitabile. Le imprese dovranno procedere con soluzioni come la cassa integrazione, licenziamenti e così via. Con ricadute per le amministrazioni locali", dice il vicepresidente Anci. La chiusura o il ridimensionamento delle aziende, infatti, significherebbe per i comuni gestire un aumento della disoccupazione e delle richieste di aiuti sociali.

Per sostenere le imprese e compensare l'impatto dei dazi, Anci chiede misure straordinarie: “Ci vogliono investimenti forti, una sburocratizzazione che diminuirebbe la spesa e la riduzione del costo dell’energia, che in Italia è molto più alto rispetto alla Spagna o alla Francia”. Un dato, questo, confermato anche dall'ultimo rapporto di Confagricoltura, secondo cui il costo dell’energia per le aziende agricole in Italia nel 2023 è stato tra i più alti d’Europa. In media, un’azienda agricola italiana paga il 30 per cento in più per l’elettricità rispetto a una spagnola e il 20 per cento in più rispetto a una francese.

Napoli lancia infine un appello affinché il governo tenti ancora la via della mediazione, lavorando con l'Unione europea, con gli Stati Uniti e altri partner commerciali. E conclude: "Che Dio ce la mandi buona". 

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