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La nuova letterina di Trichet per l'Italia

Luciano Capone

“Il debito pubblico nelle economie avanzate era il 75% del pil prima della crisi Lehman, oggi è il 114%", avverte l’ex presidente della Bce. Stati Uniti e Francia faticano a tenere il debito sotto controllo, ma noi restiamo l’anello debole

Non ha la stessa perentorietà della lettera del 5 agosto 2011, e stavolta il suo messaggio non è indirizzato direttamente al governo italiano, ma le parole di Jean-Claude Trichet dovrebbero essere ascoltate attentamente in Italia.

Intervistato da Bloomberg, l’ex presidente della Bce ha indicato il livello del debito pubblico nel mondo sviluppato come un segnale di pericolo: “Il debito pubblico nelle economie avanzate era il 75% del pil prima della crisi Lehman ed è il 114% oggi. Significa che abbiamo un indicatore che è più preoccupante di quanto fosse prima della grande crisi finanziaria”. Trichet ha poi precisato: “Non voglio essere troppo negativo, ma sono cauto”.

 

La questione, come sottolinea l’ex presidente della Bce, riguarda tutte le economie avanzate. E in particolare la più avanzata. Un mese fa il Congressional Budget Office (Cbo), l’organismo indipendente che monitora il bilancio federale, ha pubblicato un’analisi preoccupante sullo stato di salute delle finanze degli Stati Uniti. Le politiche fiscali ultra espansive, prima di Trump e poi di Biden, hanno ampliato il deficit oltre il 6% (quasi il doppio della media degli ultimi 50 anni) e stanno gonfiando il debito pubblico più di quanto stia crescendo l’economia.

 

Vuol dire che il debito degli Stati Uniti l’anno prossimo supererà il 100% del pil e, secondo le proiezioni del Cbo, nel 2034 arriverà al 116%: il livello più alto della storia. Se il trend dovesse persistere, nel 2054 arriverebbe al 172%.

 

Attualmente gli Stati Uniti hanno un disavanzo di quasi 1.600 miliardi di dollari, di cui quasi 900 milioni di interessi passivi: nel giro di 10 anni, secondo lo scenario tendenziale del Cbo, il deficit arriverà a 2.500 miliardi (6% del pil) e la spesa per interessi a 1.600 miliardi (3,9%). Lo scorso agosto, l’agenzia di rating Fitch ha tagliato il rating statunitense proprio per il deterioramento fiscale previsto nei prossimi anni che alimenta un debito pubblico alto e crescente.

 

Anche in Francia il quadro è complicato. Emmanuel Macron si è ritrovato nel 2023 con un deficit più alto del previsto – 5,5% anziché 4,9% – a causa di entrate inferiori alle attese. E adesso il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, dovrà trovare quest’anno altri 10 miliardi tagliando le spese (sono esclusi aumenti di tasse) per portare il deficit al 5,1% nel 2024 e rispettare così l’impegno a scendere sotto il 3% nel 2027.

Per il 2025 i tagli previsti sono 20 miliardi. E questo sforzo non indifferente servirà solo a stabilizzare il debito, che dal 112,3% di quest’anno arriverà al 112% nel 2027, dopo aver toccato il picco del 113,1% nel 2025.

 

In questo contesto la situazione dell’Italia è la più complicata. Non solo perché ci aspetta un aggiustamento fiscale analogo a quello francese, ma perché ha una spesa per interessi doppia (il 4% del pil contro il 2% della Francia).

 

Secondo il quadro tendenziale del Def il debito pubblico crescerà di 2,5 punti fino al 139,8% del 2026. Ma il documento traccia anche alcuni scenari a lungo termine: senza un aggiustamento, il debito andrebbe fuori controllo in pochi anni; mentre con un Piano di rientro come quello richiesto dalle regole europee, tornerebbe sotto al livello pre Covid solo nel 2034, ovvero al 134%. Che è comunque 30 punti sopra l’attuale livello degli Stati Uniti e 20 punti sopra quello della Francia.

 

Ciò fa dell'Italia il paese più esposto in caso di uno choc, esattamente come nel 2011. Per questo il governo dovrebbe prestare molta attenzione al messaggio di Trichet, sebbene stavolta non sia una missiva inviata a Palazzo Chigi.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali