Tutto ciò che non torna nei conti fatti dal governo sul nuovo Def

Luciano Capone

Il Superbonus gonfia il debito pubblico: una voragine senza precedenti nella storia della Repubblica. I Bonus edilizi sfiorano Quota 220 (miliardi) e ipotecano la politica economica del governo

Presentando il Def, che mostra il mantenimento degli obiettivi sul deficit della Nadef ma con un andamento crescente del debito pubblico, Giancarlo Giorgetti dice che l’effetto dei pagamenti del Superbonus “ha un impatto devastante” sul bilancio. Completamente imprevisto dalle stesse strutture tecniche del Mef, che hanno sottostimato il costo dei bonus edilizi arrivato a “219 miliardi”.

Una voragine senza precedenti nella storia della Repubblica. Ma alla domanda: il ministro dell’Economia ha fiducia nelle stime del dipartimento Finanze del Mef e della Ragioneria dello stato, che ha “bollinato” le coperture e avrebbe dovuto monitorare la spesa? Giorgetti, in conferenza stampa, dribbla la domanda: “Il mio naso mi suggeriva che c’era qualcosa che non andava – dice – ma ora che abbiamo i numeri definitivi tiriamo una riga”. Non proprio un grande attestato di stima verso la Ragioneria di stato.

 

D’altronde, l’errore è troppo devastante e ingombrante per essere nascosto. Il 23 maggio 2023, in audizione alla Camera, il Mef rappresentato dai suoi vertici tecnici – il direttore generale del Tesoro Riccardo Barbieri, il direttore generale delle Finanze Giovanni Spalletta e il Ragioniere generale dello stato Biagio Mazzottastimavano in 116 miliardi il costo dei bonus edilizi (67 miliardi solo il Superbonus). Una cifra che, all’epoca, aveva già superato di 45 miliardi le previsioni di spesa delle relazioni tecniche dei provvedimenti (pari a 71 miliardi). Dopo meno di un anno si scopre che in sette mesi, da giugno a dicembre 2023, quella spesa è quasi raddoppiata passando da 116 a 219 miliardi (quasi 150 miliardi di euro oltre le stime iniziali).

In risposta a un’interrogazione sull’ammontare totale e sulla composizione dei vari bonus per le costruzioni, il Mef dice che il totale dei crediti fiscali dal 15 ottobre 2020 al 4 aprile 2024”, che è pari come detto a circa 219 miliardi, è composto da “160,3 miliardi per il Super-ecobonus e Super-sisma bonus e 58,7 miliardi per gli altri bonus previsti”.

La spesa dell’Italia sui bonus edilizi è mostruosa. Basti considerare che 219 miliardi sono in valore assoluto pressoché pari alla somma degli investimenti del Pnrr (194 miliardi) e del Piano nazionale complementare (30 miliardi), ma in realtà è il doppio se si considera che la spesa per Superbonus e fratelli è concentrata in tre anni (2021-23) mentre quella per il Pnrr e il Pnc in sei anni (2021-26). E, a differenza delle risorse del Pnrr, non si tratta né di finanziamenti a “fondo perduto” né di prestiti a tassi agevolati come quelli europei, ma di indebitamento tutto nazionale e con gli attuali elevati tassi mercato. Il tema dei crediti d’imposta per l’edilizia è qui per restare. Anche dopo la sua fine. Gli effetti, come ha detto il ministro dell’Economia, ricadranno sul debito pubblico nei prossimi anni man mano che andranno in pagamento.

 

Pertanto, il Def approvato ieri dal Consiglio dei ministri è più interessante per il quadro tendenziale, ovvero l’andamento dei conti a politiche invariate, che per l’assenza del quadro programmatico su cui si sono concentrate le critiche dell’opposizione. La crescita è vista leggermente al ribasso: 1% nel 2024 (anziché l’1,2% della Nadef) e poi sempre attorno all’1% negli anni successivi. È comunque una stima ottimistica, visto che la Banca d’Italia e la Commissione europea fanno per quest’anno previsioni più basse (rispettivamente 0,8% e 0,7%).

Ma il problema vero, come detto, riguarda il debito pubblico che vede scaricarsi addosso questa massa di centinaia di miliardi di crediti fiscali. Ogni anno, nel prossimo triennio, ci saranno da pagare attorno ai 40 miliardi di euro per i bonus edilizi passati, prima che il costo inizi a flettere (ma non a sparire). Questo implica che, secondo le previsioni contenute nel Def, il debito pubblico salirà al 137,8% nel 2024, al 138,9% nel 2025, al 139,8% nel 2026: 2,5 punti di pil in più rispetto al 137,3% del 2023.

Il dato, dopo la revisione dei conti dell’Istat a marzo che ha ridotto il debito di circa tre punti, è proiettato nel 2026 più o meno allo stesso livello che era stato previsto nella Nadef (136,6%). Ma il problema è che allora la traiettoria del debito pubblico italiano era discendente, mentre ora è ascendente. E bisogna considerare che in questo quadro sono esclusi circa 20 miliardi di misure in scadenza, di cui 15 miliardi solo di decontribuzione e taglio dell’Irap, che Giorgetti e il viceministro Maurizio Leo si sono impegnati a rinnovare: ciò vuol dire che il quadro reale di finanza pubblica è più deteriorato di quanto appare.

 

Non sarà affatto semplice per Giorgia Meloni e Giorgetti preparare la prossima legge di Bilancio. C’è infine un mistero. Il governo ha mantenuto per il 2024 il deficit inserito nella Nadef al 4,3% e ha lasciato invariato il deficit del 2023 al 7,2%, come certificato dall’Istat nella sua revisione a marzo. Ma nei numeri forniti da Giorgetti – bonus edilizi a quota 219 miliardi e Superbonus a quota 160 miliardi – sembrano esserci 15-20 miliardi di spesa in più rispetto ai dati di marzo dell’Istat. Solo che quest’extra spesa non pare inclusa né nel deficit del 2023 né nel deficit del 2024. Toccherà aspettare la pubblicazione integrale del Def per svelare l’arcano.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali