Tutti i numeri in fila

Il contagio esponenziale da Superbonus

Luciano Capone

Una misura nociva, pensata senza freni né vincoli né monitoraggio della spesa. I dati del Def mostrano i clamorosi errori di previsione: in tre anni l’impatto sul debito è aumentato di 20 volte rispetto alle stime iniziali

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha definito “devastante” l’impatto del Superbonus sulla finanza pubblica. Ma per dare un numero a questo aggettivo bisogna leggere tra le pieghe del Def, visto che il governo ha preferito non pubblicare un approfondimento per fare chiarezza sul tema. Per quantificare l’entità di questo disastro preterintenzionale, bisogna guardare nel conto consolidato di cassa del settore pubblico alla voce “trasferimenti in conto capitale alle famiglie”.

A impressionare non è tanto l’ammontare dei bonus edilizi, che ormai sappiamo essere pari a 219 miliardi in tre anni, ma quanto questo esborso si sia discostato dalle previsioni. E per farlo, basta confrontare il dato contenuto nel Def 2024 con le stime dei Def degli anni precedenti. 

 

Il Def 2021, il primo dopo l’introduzione del Superbonus con il dl Rilancio che attraverso la cessione illimitata del credito è stato anche la miccia per l’esplosione del Bonus facciate, alla voce “trasferimenti in conto capitale alle famiglie” prevedeva che la spesa salisse da 1,5 miliardi del 2020 (l’impatto annuale sul debito dei “vecchi” bonus edilizi che si scaricavano in dieci anni) a circa 2 miliardi l’anno nel triennio 2021-23 per poi scendere a 1,8 miliardi nel 2024.

Nel Def 2022, ovvero dopo che c’era già una certa consapevolezza delle enormi distorsioni del bonus al 110% – tanto che già a novembre 2021 il premier Mario Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco dovettero intervenire, tra le proteste dei partiti, con decreto per fermare “le più grandi truffe della storia della Repubblica” – l’impatto sulla cassa dei trasferimenti in conto capitale alle famiglie nel 2021 si era rivelato pari a 3,1 miliardi, ovvero un miliardo sopra le stime dell’anno precedente.

In ogni caso, il Def 2022 prevedeva per il futuro un impatto sulla cassa, cioè sul debito, addirittura più basso rispetto a prima: 1,9 miliardi nel 2022; 1,5 miliardi nel 2023; 1,3 miliardi nel 2024 e nel 2025. Siamo sempre attorno a una spesa annua dello 0,1-0,2% del pil.

 

Nel Def 2023 c’è una correzione impressionante: la stima dei trasferimenti in conto capitale alle famiglie aumenta di un ordine di grandezza. Se l’anno prima il Mef prevedeva un costo di 1,5 miliardi nel 2023, nel Def 2023 questa stima è dieci volte più grande: 15,5 miliardi nel 2023; 17,4 miliardi nel 2024; 15,8 miliardi nel 2025; 19 miliardi nel 2026. Nel giro di un anno si passa da un impatto stimato annuo dello 0,1% a uno dello 0,8% di pil, complessivamente da 7 a 70 miliardi nel periodo 2022-2026.

 

Con il Def 2024 questa stima raddoppia ulteriormente. Cioè aumenta, in totale, di venti volte. Nel documento appena approvato, risulta che i trasferimenti in conto capitale alle famiglie nel 2023 sono stati pari a 21,2 miliardi (+5,7 miliardi rispetto al Def 2023) e si prevede che peseranno per 38,3 miliardi nel 2024 (+20,9 miliardi); 39,8 miliardi nel 2025 (+24 miliardi); 38,6 miliardi nel 2026 (+19,9 miliardi); 25,4 miliardi nel 2027. Dopo un anno l’impatto stimato sulla cassa passa dallo 0,8% all’1,8% di pil ogni anno, complessivamente da 70 a 140 miliardi nel periodo 2022-2026 (a cui aggiungere oltre 20 miliardi l’anno dal 2027 in poi).

 

Tutti questi numeri in fila mostrano una dinamica esponenziale, analoga a quella dei casi Covid dopo l’esplosione della pandemia. Ma se è comprensibile vedere un andamento del genere per i contagi di un virus completamente sconosciuto, è davvero sconcertante vedere andare analogamente fuori controllo la spesa per un credito d’imposta.

Il ministero della Salute è finito sotto accusa, e anche sotto inchiesta penale e poi sotto le lenti di una commissione parlamentare d’inchiesta, per non aver predisposto un piano pandemico adeguato a contrastare un patogeno ignoto. Il ministero dell’Economia e la Ragioneria dello stato hanno fatto molto peggio: hanno completamente perso il controllo della spesa per un incentivo fiscale le cui distorsioni e potenzialità nocive erano ben note ed evidenti: un bonus al 110% e con cessione illimitata del credito, tutto a carico dello stato e senza neppure il vincolo di liquidità per i privati, produce una domanda infinita.

Rispetto a questo evidente ed enorme rischio, non è stato messo un tetto alla spesa e non è stato attivato alcun monitoraggio della spesa: è come se il governo avesse affrontato una pandemia organizzando assembramenti di massa al chiuso e senza fare tamponi all’ingresso. La catastrofe che si sarebbe abbattuta sugli ospedali è quella che sta precipitando sul nostro debito pubblico.

 

Si è parlato tanto di una commissione d’inchiesta sul Superbonus, come spesso accade con finalità politiche, ma di certo sappiamo che da un anno la commissione Bilancio della Camera sta svolgendo un’indagine conoscitiva sui bonus edilizi. Il lavoro è agli sgoccioli, è già pronta una relazione finale, che però contiene dati vecchi e ormai superati, del tutto inadeguati a descrivere il disastro degli ultimi tre anni.

Sarebbe il caso di riaprire l’indagine, aggiornare i dati e ascoltare di nuovo in audizione Mef, Ragioneria dello stato e Agenzia delle entrate per capire cos’è successo: com’è stato possibile, quali errori sono stati commessi, da parte di chi e cosa è stato fatto perché nulla di vagamente simile possa ripetersi in futuro.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali