Ansa - Luca De Meo

Il profilo

Storia di De Meo, l'anti Tavares che ha buone idee sull'auto del futuro

Stefano Cingolani

Grazie alla 500 ha salvato la Fiat di Marchionne. Passato da Barcellona ha risanato la Seat. In Europa preme per un consorzio tra grandi imprese europee dell’auto sul modello Airbus.  Così l'ad di Renault può rivelarsi una figura chiave per l'industria automobilistica europea

È italiano e questo va nella casella più. Guida Renault primo produttore automobilistico di Francia, dove lo stato ha la quota più importante; e questo va nella casella meno. E’ stato il salvatore della Fiat grazie alla “500” sostenuto da Sergio Marchionne, poi se n’è andato alla Volkswagen che lo ha collocato al vertice della consociata spagnola Seat. Da Barcellona ha risanato e rilanciato un’impresa che sembrava destinata al declino: la Spagna oggi produce tre volte più dell’Italia. Frusta l’Unione europea sulla transizione elettrica e anche questo è un plus. Vuole che nasca un consorzio tra grandi imprese europee dell’auto sul modello Airbus e qui c’è un grande punto interrogativo perché l’Italia a suo tempo non entrò in quello che sarebbe diventato un campione mondiale dell’aeronautica.


Sì proprio mondiale perché ormai ha sorpassato la Boeing. Insomma Luca de Meo potrebbe essere agli occhi del governo italiano un anti Tavares, la Renault del resto è l’anti Stellantis sia in terra di Francia sia sul mercato mondiale dove insieme alla partecipata Nissan si colloca al quarto posto con sei milioni e 300 mila veicoli, mentre il gruppo dove è confluita la Fiat Chrysler sta subito dietro, ma con mezzo milione di vetture in meno. Le cose, però, ancora una volta sono più complicate di come appaiono. Il modello Airbus viene evocato in realtà un po’ da tutti, sembra la pietra filosofale per colmare il fossato con l’America e alzare una diga alla Cina. Ci vorrebbe un Airbus per i semiconduttori e ci vorrebbe per l’industria della difesa, lo ha detto Armin Papperger il gran capo della Rheinmetall il gruppo tedesco, portando ad esempio MBDA che fabbrica missili e nasce dalla collaborazione tra Airbus, British Aerospace e Leonardo. Collaborare è un imperativo se non si vuol rimanere indietro, sia in campo militare sia in quello civile, ancor più oggi che le tecnologie hanno una doppia anima e un uso multiplo. Quanto sia realistico è tutto da vedere proprio nel mondo dell’auto dove finora è prevalsa la competizione da una parte e la protezione nazionale dall’altra. E non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti. La lezione americana, per la verità, ha dimostrato che le barriere non sono servite a bloccare i giapponesi negli anni ‘80, i tedeschi negli anni ‘90 e infine, con la grande crisi del 2008, persino gli italiani. Ora Joe Biden ci prova con la sventola di incentivi federali, se vince Donald Trump ci riproverà con dazi e tariffe, ma la domanda è: esiste un nemico (un concorrente, uno sfidante se nemico vi sembra troppo) comune? 


 È la provocazione che Luca de Meo ha lanciato come presidente dell’associazione europea di costruttori (l’Acea dalla quale, tra l’altro, Stellantis s’è orgogliosamente tenuta fuori). Il messaggio è pieno di orgoglio e sarebbe utile da mettere a fuoco anche durante tavoli pochi produttivi come quelli organizzati ieri dal governo, dal ministero dello Sviluppo, sull’Automotive, con i sindacati e i vertici di Stellantis. E il senso è chiaro: si può fare, anche in Europa è possibile sostenere e vincere la sfida elettrica, ha detto, vantando quel che proprio alla Renault ha realizzato in tre anni partendo quasi dal nulla. La nuova Renault 5 E-Tech Electric può essere assemblata in meno di dieci ore negli stabilimenti francesi di Ruiz, Cleon e Douai, ma è chiaro che non si può continuare in splendida solitudine. E’ circolata così l’idea che i duellanti francesi potessero trovare un accordo forse non una vera e propria fusione, ma un’alleanza. L’idea piace al governo Macron e forse è proprio l’Eliseo a farla circolare. Del resto Parigi è azionista numero uno della Renault con il 15% e numero tre (o quasi due) in Stellantis con la sua banca di stato che possiede il 9% dei diritti di voto poco meno della famiglia Peugeot (al primo posto Exor con il 14,4%). Nessuno, però, ha un pacchetto di azioni sufficienti a controllare in modo stabile i due gruppi. Si pensi che la Toyota è saldamente in mano alla famiglia Toyoda e la famiglia Ford ha il 40% dei diritti di voto nell’azienda fondata dall’antenato Henry oltre un secolo fa.

Quanto ai cinesi, è lo stato a tirare i fili della proprietà. De Meo si è spinto più avanti proponendo un progetto che vede protagoniste le imprese e non solo i governi come avvenne nel gruppo Airbus dove lavorano insieme la tedesca Daimler la francese Aérospatiale-Matra e la spagnola CASA. Avrebbe dovuto partecipare anche la Finmeccanica, ma se ne tenne fuori per non turbare i rapporti con la Boeing che saturava gli impianti di Pomigliano d’Arco. Comunque, pur dall’esterno gli italiani costruiscono insieme l’Atr e Leonardo è partner nella difesa. Dunque se questo è il modello, il consorzio dell’auto dovrebbe vedere insieme Renault, Stellantis e Volkswagen. “Per l’industria dell’auto, il vecchio mantra era scalabilità ed efficienza. Adesso il nuovo imperativo è innovazione e agilità strategica – sostiene de Meo – Con i motori termici la nostra leadership era indiscussa e per un secolo abbiamo beneficiato delle nostre competenze. Oggi, l’Europa si trova in una posizione di relativa fragilità. I cinesi controllano il 75% della produzione globale di batterie e il 90% della lavorazione del litio”, ha detto il manager in un lungo intervento dalle colonne del settimanale britannico Autocar. Quel che propone è “un modello ibrido, una risposta collettiva con una autorità pubblica in grado di coordinare la mobilitazione europea”.  Un messaggio inviato alla prossima commissione europea e a Mario Draghi che deve presentare il rapporto sulla competitività.

Vedremo se nazionalismi ed egoismi privati  saranno davvero superabili. Certo è che il manager italiano mira in alto. In Francia lo hanno coccolato superando ruggini e luoghi comuni. Nato a Milano nel 1967, figlio di un uomo di finanza originario della Puglia, ha vissuto in dodici paesi e parla cinque lingue oltre a quella materna l’inglese, il tedesco, lo spagnolo e il francese anche se, dicono i puristi, con una cadenza italiana. In ogni caso in famiglia a Parigi, con la moglie incontrata alla Bocconi e i due figli si parla francese (e questo oltralpe è considerato ovviamente un super plus). La sua carriera è cominciata proprio alla Renault nella filiale italiana (dal 1992 al 1998) e poi in Francia. Poi c’è stata la Toyota prima della Fiat nel 2002. Ricordando i cinque anni dalla scomparsa, l’estate scorsa ha confessato il debito che deve a Sergio Marchionne: “Senza di lui non sarei mai potuto entrare così rapidamente nella stanza dei bottoni. Ha sempre avuto l’immagine da orso, severo, capitano d’industria duro negoziatore. Invece era un emotivo. Aveva una personalità molto forte, lucido e anche opportunista nel leggere le situazioni, nel cogliere le opportunità. Molto ferrato nella finanza, all’inizio non era uomo dell’automobile. Poi si è appassionato al prodotto. Ho motivo di ritenere, anche se non ne abbiamo mai parlato, che, quando decisi di andare con i tedeschi del gruppo Volkswagen, se la sia un po’ presa.”

Avrebbe potuto essere il suo successore, ma Marchionne non sopportava eredi. In realtà, c’è stata una vera e proprio rottura. “Ritenevo conclusa la mia missione e per il progetto Alfa Romeo che doveva nascere, non vedevo il sostegno del management”, ha spiegato de Meo al Sole 24 Ore. È alla Seat che realizza quello che sarebbe dovuto essere il progetto Alfa. L’azienda spagnola era ormai arrivata al punto di non ritorno (tra un paio d’anni sparirà anche il marchio), ma dal suo interno il manager ha fatto nascere la Cupra, separando prima il modello sportivo destinato a un pubblico giovane e creando attorno ad esso una intera gamma di vetture con il proprio marchio. La Fiat ha puntato sulla 500 e sulla Jeep, due scelte di successo, ma non ha mai davvero creduto nell’Alfa, fin dall’inizio, fin da quando nel 1986 la prese per strapparla alla Ford dove sembrava destinata se fosse prevalsa l’opinione dell’allora presidente dell’Iri Romano Prodi. Niente senno di poi, indietro non si torna, ma avanti da soli non si va. È questo il verbo di Luca de Meo il bocconiano cosmopolita, non un cervello in fuga da rimpatriare, non una risorsa nazionale, né italiana né francese, ma europea. Chissà.