La lettera

La maggiore flessibilità del nuovo Patto di stabilità. Una risposta al Foglio

Sulle nuove regole europee di finanza pubblica ci scrive Renato Loiero, il consigliere della presidente del Consiglio Giorgia Meloni

Al direttore – Gentile direttore, l’articolo pubblicato in data 22 marzo a firma di Luciano Capone costituisce un’occasione utile per illustrare il contenuto delle nuove regole europee di finanza pubblica. Le considerazioni del presidente del Consiglio Meloni sono fattualmente corrette in quanto le nuove regole fiscali sono “a regime” meno restrittive delle precedenti. Questo perché la riforma riconosce innanzitutto i limiti delle vecchie norme, prevedendo un approccio più realistico alla sostenibilità del debito e un giusto equilibrio tra la graduale riduzione del debito e il sostegno alla crescita, in particolare attraverso investimenti e riforme. Una volta raggiunto il nuovo livello di saldo strutturale, pari a un deficit di 1,5 per cento, infatti, non si renderebbero necessari ulteriori consolidamenti di bilancio a meno che ciò non si rendesse necessario alla luce dell’analisi di sostenibilità del debito.

 

 

Pertanto, l’aggiustamento complessivo è inferiore e sarà raggiunto in un arco di tempo più breve rispetto al vecchio regime e il livello di spesa complessiva sarà superiore “a regime” per ammontare annuo di 1,75 punti di pil. Questi fattori permanenti non possono essere trascurati, sposando una mera logica di breve periodo; infatti, ci troviamo in una fase che durerà almeno due decenni lungo i quali sarà essenziale destinare risorse alla transizione ecologica. Per quanto riguarda la fase di transizione, anche le nuove regole non impongono quindi di raggiungere immediatamente l’1,5 di deficit strutturale così come avveniva per L’Obiettivo di medio termine (Omt) di +0,25 per cento.
 

Si osserva che l’aggiustamento annuale richiesto, secondo le stime disponibili, è di ammontare tendenzialmente simile a quello utilizzato secondo le vecchie regole; tuttavia, risultava ben chiaro dal citato documento di programmazione che la durata dell’aggiustamento è sensibilmente inferiore, dovendosi conseguire un consolidamento complessivo nettamente minore.
 

Sempre riguardo alla velocità di convergenza richiesta, è anche da richiamare la possibilità che in alcune circostanze, e precisamente quando le condizioni cicliche erano stimate essere particolarmente favorevoli (output gap maggiore dell’1,5 per cento e crescita effettiva stimata al di sotto di quella potenziale) l’aggiustamento strutturale poteva essere addirittura superiore all’1 per cento del pil.
 

Un’altra caratteristica positiva della riforma è che il percorso di aggiustamento sarà effettuato utilizzando una variabile di spesa primaria, il che eviterà di dovere inseguire l’impatto sul bilancio pubblico della variazione della spesa per interessi sul debito pubblico, rendendo più facile la programmazione di medio periodo. Il nuovo sistema è pertanto maggiormente anti-ciclico. Da aggiungere che, su richiesta anche dell’Italia, l’aumento di spesa militare sarebbe considerato – a favore – come fattore rilevante rispetto allo sforamento degli obiettivi di spesa. Viste le attuali condizioni geopolitiche questo è un aspetto importante perché mette al sicuro altre categorie di spesa che altrimenti dovrebbero essere tagliate.
 

Va ricordato anche che nel vecchio assetto esisteva una regola del debito (riduzione di 1/20 l’anno), assolutamente irrealistica date le attuali circostanze e perciò non applicata dalla Commissione europea. Non è da escludere che prima o poi, tuttavia, tale regola sarebbe stata applicata perché considerata fattibile ma allo stesso tempo molto sfidante. Molto più credibile e realistica, pertanto, è la nuova clausola di salvaguardia sul debito che risulta non incidere in alcun modo sul sentiero di aggiustamento richiesto all’Italia. Non sembra corretto confrontare due sistemi di regole supponendo che uno – il vecchio Patto – venga sistematicamente non rispettato.
 

Inoltre, l’articolo richiama la possibile applicazione all’Italia della procedura di deficit eccessivo che per alcuni anni vincolerebbe il percorso di aggiustamento. Tale procedura, tuttavia, sarebbe stata applicata anche con le vecchie regole e avrebbe richiesto un aggiustamento strutturale minimo pari a 0,5 per cento. L’accordo sulle nuove regole prevede che fino al 2027 questo aggiustamento minimo sia espresso in termini strutturali primari, quindi inferiore perché al netto degli interessi. Il nuovo sistema di regole è il risultato di un compromesso, che ha portato a un assetto più orientato alla programmazione di medio periodo e al controllo della spesa pubblica rispetto alla precedente impostazione, che spingeva a estenuanti negoziati su decimali di punto di correzione di bilancio su base annuale. Al momento la risposta dei mercati nei confronti dell’Italia alla conclusione dell’accordo è stata favorevole, con una graduale riduzione dello spread dei nostri titoli di stato.
 

L’Italia, dato l’alto livello di debito e la posizione di partenza del deficit, dovrà ovviamente avviare un percorso di consolidamento fiscale, così come avrebbe dovuto fare con le vecchie regole. Con le nuove, tuttavia, tale percorso avrà una prospettiva multi-annuale, sarà verosimilmente più graduale e realistico, meno incerto e meno pro-ciclico, e dovrà tendere verso un obiettivo meno stringente (-1,5 vs + 0,25).
 

Renato Loiero, consigliere del presidente del Consiglio dei ministri
 



Risponde Luciano Capone – Ringrazio il consigliere Loiero per l’attenzione. È vero, come sostiene, che le nuove regole fiscali sono più flessibile delle precedenti. Su questo non ci sono dubbi. La problematicità dell’affermazione della presidente Meloni riguarda la “maggiore flessibilità per 35 miliardi”. Come precisa Loiero, è una flessibilità “a regime”, ma nel frattempo “l’aggiustamento annuale richiesto, secondo le stime disponibili, è di ammontare tendenzialmente simile a quello utilizzato secondo le vecchie regole”. Quindi, in questa fase di aggiustamento non esiste una maggiore disponibilità di 35 miliardi. Al di là degli aspetti tecnici, ora meglio precisati, quello che sollevavamo è un punto di comunicazione politica: con quella affermazione, la presidente Meloni rischia di ingenerare nell’elettorato aspettative irrealistiche. Quando, con la prossima legge di Bilancio, emergerà che questi “35 miliardi” di spazio fiscale in più non esistono, la delusione potrebbe prendere il posto dell’illusione. Un cordiale saluto.