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l'analisi

Il mistero del lavoro senza crescita

Luciano Capone

Perché l’occupazione registra numeri da record mentre il pil continua a vivacchiare? Il caso italiano illumina un fenomeno europeo. Tre ipotesi e un tabù da rimuovere: scommettere sulla produttività per far crescere i salari

Domani l’Istat pubblicherà i dati di dicembre su occupazione e inflazione e i conti economici del 2022. Saranno numeri importanti, ma forse non definitivi, per spiegare lo strano fenomeno che, da ormai un anno, vede un notevole aumento dell’occupazione nonostante una crescita flebile del pil. Il governo Meloni sottolinea il record storico di occupati (23,7 milioni) e il fatto che quasi tutto l’incremento occupazionale sia di dipendenti a tempo indeterminato (oltre 400 mila). L’opposizione enfatizza il fatto che il divario tra occupazione e pil segnala un calo della produttività: quello creato è lavoro povero. Miracolo italiano o male italiano? Merito o colpa del governo?

 

La prima risposta è che non è un fenomeno italiano, ma una dinamica europea e anche americana. Invece le spiegazioni del “puzzle” dell’occupazione senza crescita sono varie. Un’ipotesi interessante è quella fornita dalla Banca d’Italia, nel bollettino economico di ottobre, con il “cambiamento dei prezzi relativi degli input di produzione”. La tesi è che, con l’interruzione delle catene di approvvigionamento post Covid e poi con lo choc energetico, il costo dei beni intermedi ed energetici è aumentato molto di più dei salari. Di conseguenza, il fattore lavoro è diventato relativamente più conveniente, producendo due effetti: da un lato le aziende nei settori ad alta intensità di lavoro (tipo servizi e turismo) sono andate meglio e hanno assunto di più; dall’altro, le aziende negli altri settori hanno modificato i processi produttivi sostituendo, dove era possibile, gli input relativamente divenuti più costosi con il lavoro.

 

Un altro fattore è, probabilmente, quello demografico. Sebbene siano aumentate, le forze di lavoro stanno invecchiando: la fascia d’età 50-64 anni è in espansione ed è possibile che molte aziende abbiano assunto giovani per fare affiancamento in vista dei pensionamenti nei prossimi anni. Inoltre, con un mercato del lavoro in cui è molto difficile trovare manodopera, le imprese in difficoltà possono aver fatto “labour hoarding”, ovvero non hanno ridotto gli organici in attesa della ripresa per evitare un elevato costo di ricerca del personale in futuro. Questo elemento spiegherebbe l’alto numero di contratti permanenti, sia in termini di maggiori assunzioni sia di minori licenziamenti.

 

Marina Barbini e Fedele De Novellis di Ref Ricerche su lavoce.info scrivono che un altro fattore è la domanda pubblica: nell’Eurozona la crescita occupazionale è stata forte in settori come sanità, istruzione e pubblica amministrazione a causa delle politiche fiscali espansive post pandemia. E questo, dato che il settore pubblico è slegato dal ciclo economico, può spiegare la divaricazione tra crescita occupazionale ed economica. In Italia la forte crescita dell’occupazione si è vista nelle costruzioni, ma perché il nostro paese – a differenza degli altri – ha preferito spendere nel Superbonus invece che nella scuola e nella sanità.

 

Infine c’è un’altra ipotesi sostenuta, proprio sul Foglio, dall’economista Riccardo Trezzi secondo cui la crescita del pil italiano potrebbe essere sottostimata: la pandemia e lo choc energetico hanno stravolto modelli e tecniche statistiche, tanto è vero che lo scorso settembre l’Istat – come avevano già fatto altri paesi europei – ha comunicato una revisione al rialzo del pil 2021 di 1,3 punti. Qualcosa del genere, seppure non della stessa intensità, potrebbe verificarsi con la prossima revisione di settembre che, peraltro, avrà un nuovo benchmark europeo.

 

La spiegazione più probabile è dovuta a un mix di questi fattori, tutti prodotti da trend demografici o globali, che poco hanno a che vedere con i meriti o i demeriti del governo. Una cosa è certa: per consolidare la maggiore occupazione creata in questi anni e vedere aumentare i salari è necessario che cresca la produttività. È su questo che governo e opposizione dovrebbero misurarsi con proposte e strategie.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali