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A Vicenza

Cosa ci dice sulla salute della nostra economia il primato italiano nell'oro

Dario Di Vico

Oggi si chiude la fiera di VicenzaOro e il più grande risultato raggiunto dalla kermesse italiana dell'oreficerie è il fatto che l'oro è tornato a essere un bene-rifugio

Oggi si chiude la fiera di VicenzaOro e fortunatamente si parlerà di bilanci, business e presenze-record e non più di antisemitismo e di cortei pro-Hamas. La sciagurata performance dei Centri Sociali di sabato scorso passerà in secondo piano con tutte le contraddizioni e ambiguità (e i fermi) che si è portata dietro. In città in molti sono convinti che la contestazione violenta della presenza israeliana alla fiera italiana dell’oreficeria fosse del tutto strumentale, una sorta di allenamento per quella che gli estremisti locali considerano la vera battaglia di lungo periodo ovvero l’opposizione ai lavori dell’Alta Velocità per realizzare il nodo ferroviario di Vicenza. Del resto gli operatori israeliani presenti erano solo tre, senza un vero padiglione (“non è la Biennale”, dicono gli organizzatori) ed esponevano pietre. Difficile sostenere quindi che dalla città del Palladio passassero a metà gennaio in una tranquilla fiera di settore chissà quali commerci “insanguinati” destinati a finanziare le operazioni militari di Tel Aviv in Medio Oriente. In zona il flusso più consistente di questi giorni ha riguardato il pernottamento degli operatori del settore che hanno riempito tutti gli alberghi nella direttrice che va da Vicenza a Padova, Abano compresa. E così “nonostante le manifestazioni è stata la miglior fiera dell’oro della storia della città. Milletrecento espositori da tutto il mondo”, come racconta il sindaco dem Giacomo Possamai. L’oro è tornato, a sorpresa, a essere un bene-rifugio.
 

In passato quando i tassi erano alti gli investitori lasciavano il metallo giallo e invece nel 2023 non è stato così. L’oro è rimasto, pur con tanta volatilità, sopra i 2 mila dollari l’oncia per buona parte dell’anno scorso e le previsioni parlano di un corso al di sopra della media storica anche nel 2024. Il mercato non ha solo premiato i lingotti ma anche la gioielleria vista come una credibile protezione dall’inflazione (tendenza particolarmente forte, sostengono in fiera, tra le famiglie turche che hanno comprato a man bassa il made in Italy). In questa giostra a recitare un ruolo da protagonista è l’oreficeria italiana, leader in Europa e campione indiscussa di esportazioni. Qualche anno fa si pensava che la nostra industria di trasformazione sarebbe stata sepolta dalla concorrenza low cost indiana e cinese, e invece fortunatamente non è andata così. Gli imprenditori italiani sono stati abili/reattivi e si sono riposizionati, hanno fatto passi da gigante nel servizio al cliente e hanno puntato decisamente sull’alto di gamma. Risultato: si sono confermati fornitori insostituibili dei big del lusso francesi e svizzeri. Il loro retroterra produttivo. Gli investimenti di Bulgari su Valenza lo stanno a dimostrare ma anche quelli di Louis Vuitton.
 

Grazie a questa risalita nella scala della qualità il settore ha riassorbito molto “vecchio” sommerso ed è riuscito persino a ritornare sul mercato americano, dal quale gli indiani ci avevano scacciato in malo modo. Un successo di marketing e di immagine scandito dai dati dell’ultima indagine congiunturale del Club degli Orafi e di Intesa Sanpaolo. Il 44 per cento degli imprenditori italiani ha registrato nel 2023 un fatturato in crescita e l’indice Istat mostra per l’oreficeria una crescita dell’8,5 per cento meglio del sistema moda (+3,3 per cento) e del totale manifatturiero (-0,1 per cento). I mercati internazionali rappresentano il campo centrale di questo exploit: nei primi nove mesi del 2023 pur in un contesto di domanda mondiale stabile l’export dei gioielli made in Italy è arrivata a quota 6,8 miliardi in crescita in valore del 12,3 per cento e in quantità dello 0,9 per cento. Siamo così i primi esportatori europei e al quinto posto nel ranking mondiale con quota di mercato salita di quasi due punti rispetto al pre-Covid grazie alle vendite negli Usa, Francia, Svizzera, Turchia e persino Cina. Per il 2024 “le attese degli operatori sono improntate a maggior cautela” ma il 50 per cento delle imprese medio-grandi si aspetta una fatturato in ulteriore crescita. Il rallentamento dell’economia e dei commerci c’è ma il suo impatto sarà selettivo. A Vicenza intanto, una volta ripartiti gli uomini del business, resta viva per ora la polemica politica. Con l’opposizione di destra che incalza il sindaco dem intimandogli di chiudere il Bocciodromo, lo spazio autogestito da cui partono le azioni dei Centri Sociali. Lo stesso Bocciodromo sul quale pende una minaccia ancor più radicale: potrebbe essere abbattuto proprio per far avanzare l’odiata Alta Velocità.

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