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L'analisi

Paletti per capire chi perderà sul patto di stabilità. Intervista a Tabellini

Luciano Capone

“La riforma del Patto? Le vere sfide in Europa sono difesa, immigrazione, innovazione”. Parla il professore di politica economica all’Università Bocconi

“Si era partiti da una proposta della Commissione europea molto ragionevole e condivisibile, ma poi per esigenze di politica interna tedesche si  è voluto introdurre ulteriori vincoli che rendono l’impianto più complicato”. Secondo Guido Tabellini, professore di politica economica all’Università Bocconi, l’accordo che si va prefigurando sul Patto di stabilità, con l’introduzione delle salvaguardie volute dalla Germania sulla riduzione del debito e del deficit, presenta delle criticità. “Queste regole potrebbero costituire una camicia di forza, se non tengono conto delle contingenze legate al ciclo economico e alla variazione dei tassi di interesse”. C’è un tentativo, in tal senso, di mitigare queste rigidità con uno sconto  sull’aggiustamento, almeno nei primi anni. “L’impressione è comunque che  si tratti di vincoli che rendono più difficile per un paese come l’Italia far fronte al Patto di stabilità”. 

Secondo Tabellini, insomma, le regole fiscali verso cui si sta andando “dal punto di vista dell’Italia non sono migliorative rispetto alla proposta della Commissione. Ma, ovviamente, per un giudizio completo bisognerà vedere i dettagli”. Ma è sicuro che, almeno per quanto riguarda la richiesta di riduzione del debito di un punto l’anno, sia una clausola così dannosa? L’Italia ha un debito al 140 per cento, l’unico tra quelli dei paesi ad alto debito che non scende e, anzi, secondo le proiezioni della Commissione salirà nei prossimi anni. Non dovremmo ridurlo, a prescindere da cosa chiede Berlino? “Indubbiamente è una regola che ci aiuterà ad affrontare il problema del debito, che non può essere rimandato all’infinito. Non stiamo facendo abbastanza, questo è certo. I vincoli esterni  aiutano, ma è importante che siano formulati tenendo conto degli shock che possono arrivare dal ciclo economico e dai tassi di interesse – dice l’economista –. Le regole devono essere stringenti, ma sufficientemente elastiche da permettere di affrontare le congiunture sfavorevoli. Altrimenti, se non siamo in grado di rispettare le regole, l’Italia perderebbe l’ombrello della Bce”. 


Mario Monti dice che se le nuove regole imposte dalla Germania non consentono di fare investimenti tanto vale tenersi quelle vecchie. “Monti ha da tanto tempo l’idea che le regole sul debito e il disavanzo debbano escludere gli investimenti, e dal punto di vista economico è un concetto corretto. Il problema è che la Germania non si fida di come verrebbero calcolate gli investimenti. Il Superbonus, ad esempio, è un precedente che non aiuta”. La linea del governo italiano è che, quantomeno per gli obiettivi comuni europei, serve uno scorporo o uno sconto della spesa per investimenti. “È indubbio che ci sono spese, si pensi alla difesa e al sostegno all’Ucraina, che è nell’interesse dell’Europa consentire senza troppi vincoli. La posizione del governo è condivisibile, ma deve fare i conti con il fatto che su questo fronte i tedeschi sono disposti a concedere poco. Forse è politicamente più utile cercare altri margini di flessibilità”. Pesano come un macigno le questioni politiche interne della Germania che, dopo la sentenza della Corte costituzionale sui fondi speciali, ha costretto a ridimensionare il budget. “I tedeschi hanno approvato un vincolo al debito molto inflessibile, che non contiene clausole per gli investimenti. Quindi il governo attuale fa fatica a concedere a livello europeo regole più flessibili rispetto a quelle interne, dato che l’opposizione della Cdu è attiva nel criticare sia l’aggiramento dei vincoli sui fondi speciali  sia le concessioni  sul Patto di stabilità”.


Il governo, lo ha ripetuto ieri la presidente Giorgia Meloni, non ha escluso il ricorso al veto se l’accordo non dovesse essere soddisfacente. La stessa cosa ha suggerito di fare l’ex premier Mario Monti. È solo una strategia negoziale o, a questo punto,  un’opzione reale? “Se tornasse il  vecchio Patto sarebbe comunque peggio – dice Tabellini –  dato l’alto debito, il rientro dovrebbe essere più rapido e se fossimo in violazione delle regole perderemmo la protezione della Bce (lo scudo anti-spread Tpi, ndr). Credo perciò che il veto sia una strategia negoziale e non una strada che percorreremo fino in fondo, perché è vero che  anche gli altri paesi starebbero peggio con le vecchie regole ma noi saremmo il paese più colpito”. Insomma, alla fine il governo sarà costretto ad accettare un accordo poco vantaggioso. “La sensazione è che questa discussione sia molto rilevante per l’Italia, mentre lo è molto meno per l’Europa. Le vere sfide che l’Unione europea deve affrontare non riguardano il Patto di stabilità – conclude Tabellini – ma questioni non strettamente economiche: difesa, politica estera, energia, immigrazione, innovazione.  Questa sulle regole fiscali è, per certi versi, una battaglia che riguarda il passato e irrilevante per il futuro dell’Europa.” 
 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali