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il caso

Fitto vs Salvini: i ritardi di Rfi, il caso Terzo Valico e la rimodulazione del Pnrr 

Giorgio Santilli

Braccio di ferro tra i due ministri poco prima della consegna della revisione del piano nazionale di ripresa e resilienza a Bruxelles. La questione più spinosa riguarda la linea ferroviaria veloce fra Genova e Tortona 

Braccio di ferro tra Raffaele Fitto e Matteo Salvini nel rush finale sulle rimodulazioni del Pnrr che il ministro per gli Affari europei vorrebbe portare a Bruxelles in versione definitiva questa settimana. 

La questione più spinosa è quella del Terzo valico, opera da 7,4 miliardi di cui 3,97 finanziati dal Piano europeo. Le possibilità di completare l’opera nel termine ultimo del giugno 2026 sono ormai minime, per la paralisi che si è venuta a creare nelle gallerie di Arquata Scrivia, dove le talpe all’opera sono rimaste bloccate da oltre un anno per un terreno che si è rivelato più friabile di quanto si prevedesse e per i crolli di alcune coperture delle gallerie già scavate. 

Fitto insiste per stralciare l’opera dal Pnrr ed evitare così di mancare il target su un investimento tanto importante che farebbe perdere la faccia a lui e al paese; Salvini non molla e spera che i 350 milioni di euro di finanziamenti aggiuntivi messi a disposizione dalla legge di Bilancio proprio per riparare alla “sorpresa geologica” – con una deroga ad hoc al codice degli appalti – aiutino a risolvere anche il contenzioso in corso fra il committente Rete ferroviaria italiana (Rfi) e l’appaltatore Webuild, consentendo di mettere a punto un cronoprogramma capace di ripartire velocemente e recuperare una parte dei ritardi cumulati. 

A sostenere la difesa di Salvini anche un paio di ragionamenti collaterali a quello politico. Il primo è che mantenere l’opera nel Pnrr significa continuare a esercitare una pressione molto forte su committente e appaltatore affinché procedano comunque il più in fretta possibile (anche perché l’obiettivo del completamento dell’opera entro il 2026 sta nelle regole di ingaggio di entrambi e nessuno può sentirsi tranquillo in termini di cause civili ed erariali, tanto più se verranno rafforzate le clausole di responsabilità). 

Il secondo argomento è squisitamente tecnico e anche più raffinato. Arrivare al 2026 senza aver raggiunto il target potrebbe significare perdere non soltanto i fondi per il pezzo di opera non realizzato ma pagare anche una penale che, in base ai complessi algoritmi del Pnrr, potrebbe stare fra 500 milioni e un miliardo: il prezzo da pagare sarebbe comunque di gran lunga inferiore rispetto allo stralcio immediato e totale dei 3,7 miliardi deciso oggi.

Ma soprattutto ci sono interessi politici contrastanti fra i duellanti: quello di Fitto è di approvare finalmente un nuovo Pnrr definitivo, dopo oltre un anno di gestazione al rallentatore, con la ragionevole certezza che i nuovi target, milestone e obiettivi di spesa reggano al confronto con i prossimi mesi e diano la possibilità all’Italia di riscattarsi e a lui di apparire come il salvatore della patria nella complicata partita del Pnrr. L’interesse di Salvini è invece anzitutto quello di salvare agli occhi dell’Italia un’opera di Alta velocità fondamentale in una regione per lui strategica, la Liguria, da cui viene anche il suo vice al Mit Edoardo Rixi: questo gli consentirebbe di evitare di apparire come il ministro delle Infrastrutture che punta tutto sul Ponte in Sicilia e si perde per strada le opere del nord. Tanto più che le grane non vengono mai da sole e c’è il rischio molto alto che anche la Circonvallazione di Trento, altra opera di Rfi, debba saltare perché non riesce a rispettare i tempi del Pnrr. Dopo un’approvazione del progetto fatta nei tempi, grazie alla corsia preferenziale creata al Consiglio superiore dei lavori pubblici dal decreto legge 77/2021 di Mario Draghi, l’opera è rimasta impantanata nelle guerre locali, con rinvii che ne hanno compromesso i tempi di realizzazione.

Si aggiunga che, a complicare la posizione di Salvini, ci sono le difficoltà di Rfi che sembrano addirittura più ampie di quelle delle singole opere: la società trainante del gruppo Ferrovie dello stato non appare più la macchina efficiente che era stata nei primi due anni di Pnrr. Lo conferma la relazione della Corte dei conti che evidenzia, al 30 giugno 2023, 18 obiettivi raggiunti e ben 24 non raggiunti. Le difficoltà nascono probabilmente dal fatto oggettivo che ci si addentra nelle fasi esecutive molto più complesse su cui si scaricano anche i problemi non risolti delle accelerazioni del primo periodo. Per ben 23 progetti su 24, infatti, “il mancato raggiungimento dell’obiettivo è stato causato dal prolungarsi degli iter autorizzativi”. 

Fatto sta che le difficoltà di Rfi esistono. E il sintomo più clamoroso sta nella proposta di sostituire il traguardo intermedio M3C1-17, che prevede l’aggiudicazione di tutti i contratti entro il 31 dicembre 2023, con un traguardo alternativo di completamento di opere per almeno 150 chilometri. 

Ma la stretta di Fitto sulle rimodulazioni da portare a Bruxelles deve fare i conti, oltre che con i ritardi delle grandi opere ferroviarie, anche con la correzione di rotta che lo stesso ministro ha dovuto accettare rispetto alla prima versione della proposta di revisione generale del 27 luglio. Fitto aveva proposto la cancellazione in blocco di intere linee di intervento (nove linee di intervento per la precisione), mentre ora siamo passati a una selezione di singoli progetti basata su un esame dettagliato dello stato dell’arte che ha ulteriormente allungato i tempi. A produrre questo esito non è stata solo la sollevazione dei comuni per lo stralcio di progetti che in molti casi erano stati appaltati e non di rado avevano aperto i cantieri. Un retroscena inedito spiega, invece, che a fermare Fitto e a costringerlo a riscrivere la revisione del piano è stata anche una saldatura fra regioni, comuni e Commissione europea. 

Bruxelles considera il Pnrr un vero e proprio contratto con “dare” e “avere” a carico delle due parti, da cui ci si svincola per ragioni definitive e motivate (oltre che previste dai regolamenti). E non ha gradito lo stralcio in blocco e a scatola chiusa di intere linee di intervento su cui l’Italia si era impegnata in termini di performance. 

In questa dialettica si sono inserite alcune regioni – capeggiate dalla Puglia di Emiliano – che hanno contestato prima al ministero delle Infrastrutture, poi direttamente a Bruxelles, la cancellazione in blocco dei progetti di ciclovie turistiche regionali e interregionali per cui erano appostati 400 milioni (250 Pnrr e 150 nazionali). L’obiettivo di performance su cui il Pnrr si era impegnato era realizzare 1.235 chilometri di piste ciclabili per favorire la mobilità alternativa che improvvisamente sarebbero venute meno. Alcuni di questi progetti non erano affatto in ritardo, in effetti, e le rimostranze regionali a Bruxelles hanno fatto centro. Risultato: si è dovuto anche qui passare al metodo dell’esame progetto per progetto (come sta accadendo per i progetti urbani integrati) e una metà circa di quelle opere sono state recuperate. Lo stralcio dello stralcio, insomma: non saranno nel piano definitivo delle rimodulazioni che Fitto consegnerà a ore alla Commissione.
 

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