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dopo l'ok del cda

Tim a Kkr: la sfida italiana a Vivendi e alle tlc europee

Mariarosaria Marchesano

Il principale azionista promette battaglia legale contro la decisione del cda e il titolo scivola in Borsa. Con il piano del fondo americano, Telecom sarà il primo ex monopolista a sperimentare la strada della scissione e della vendita della rete per affrontare il problema del debito 

La decisione del cda di Tim di accettare l’offerta del fondo americano Kkr per la rete telefonica con l’obiettivo di dar vita a una nuova società in cui il Mef sarà azionista con un ruolo strategico rappresenta una sfida del sistema Italia al gruppo mediatico francese Vivendi che del gestore telefonico è il principale azionista con il 23,75 per cento. Una sfida senza precedenti a cui Vivendi ha risposto che userà tutti i mezzi legali a sua disposizione per contestare questa decisione. A queste parole è seguita non solo la contro replica secca del cda di Telecom, che ha affermato che la decisione di accettare la proposta di Kkr era di “sua competenza esclusiva”, ma anche le dichiarazioni del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, il quale ha detto che certamente Vivendi ha i suoi diritti che potrà fare valere nelle sedi opportune ma che “il progetto è quello”. 

Un botta e risposta a distanza Italia-Francia, che se da un lato riflette la solidità della posizione assunta dal governo Meloni su una partita delicata come Telecom dopo 15 anni di discussioni sulla rete, dall’altra aumenta il rischio di una controversia legale con possibili ripercussioni sull’esecuzione dell’operazione stessa.

E’ questo, con ogni probabilità, il motivo per cui anche la reazione della Borsa lunedì mattina è stata scomposta: prima il titolo Telecom è salito del 4 per cento poi ha cominciato a scivolare facendo emergere tutta l’incertezza e il nervosismo degli investitori di mercato di fronte alla soluzione che hanno sempre appoggiato, la scissione tra business telefonico e infrastruttura di rete, ma sulla quale adesso si addensano le minacce legali di Vivendi. 

Si vedrà quante chance ha davvero il gruppo francese, che fa capo a Francois Bollorè e che in Telecom ha investito complessivamente più di 4 miliardi, di bloccare l’operazione. In campo c’è un esercito di advisor legali, da una parte e dell’altra, che da mesi sta valutando tutti i possibili effetti della decisione del cda di Telecom di realizzare la cessione della rete senza tenere conto del parere contrario del suo principale azionista, il quale, d’altra parte, non ha mai offerto una proposta alternativa contribuendo a uno stato di stallo pericoloso per il gestore telefonico italiano.

La sfida di Telecom Italia, comunque, non è solo ai francesi di Vivendi, ma a tutta la telefonia europea perché è il primo ex monopolista a sperimentare la strada della scissione e della vendita della rete per affrontare il problema del debito (abbastanza diffuso anche tra i competitor) e a dare una nuova prospettiva al business del traffico e dei servizi su cui in futuro dovrebbe pesare un livello di indebitamento compatibile con i ricavi e i margini prodotti.

L’offerta Kkr – che valorizza la rete 18,8 miliardi di euro che possono salire a 22 miliardi al verificarsi di determinate condizioni – è lontana dalle aspettative di Vivendi che puntava a 31 miliardi. Ma è la soluzione che consentirà a Telecom di ridurre il suo indebitamento complessivo di 14 miliardi dagli attuali 26 miliardi e che permetterà allo stato italiano di svolgere un ruolo strategico nella gestione della rete, sia attraverso la posizione di socio di minoranza “visibile” (20 per cento) sia attraverso il potere di golden power che detiene su operazioni che coinvolgono asset strategici per il paese.

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