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La manovra

Giorgetti molla "schiaffoni" a Salvini per evitare di prenderli a Bruxelles

Luciano Capone

Tagli temporanei delle tasse in deficit a fronte di aumenti della spesa strutturali: una legge di Bilancio senza visione. Giorgetti ha frenato i ministri a Roma, soprattutto sulle pensioni, ma dovrà convincere i suoi colleghi in Europa

È vero che mancano le risorse, ma quello è un vincolo di realtà. Il problema politico  è che manca una visione di politica economica. Si diceva che questa per il 2024 doveva essere la prima “vera” legge di Bilancio del governo Meloni, con un respiro politico e di legislatura, dato che quella per il 2023 era stata fatta di fretta e solo per tamponare le emergenze. In realtà, le due leggi di Bilancio sono molto simili per impostazione e per uno sguardo a breve termine. Da un lato il governo cerca di contenere il disavanzo senza entrare in contrasto con Bruxelles, dall’altro cerca di usare tutti i margini disponibili in deficit per fare spesa. Lo scorso anno, il governo impegnò 21 miliardi su 34 totali (circa il 60 per cento) per gli aiuti a imprese e famiglie contro il caro energia; quest’anno impegna 14,5 miliardi su 24 totali (circa il 60 per cento) per il taglio del cuneo fiscale. Sempre per un anno.

 

Il risultato sono quindi due finanziarie senza riforme strutturali e per la parte preponderante basate su bonus temporanei. Con un orizzonte, appunto, di un anno. Poi si vedrà. Vale per le due misure principali di riduzione del carico fiscale: la proroga, per il 2024, del taglio dei contributi (del 7 per cento per i redditi fino a 25 mila euro, del 6 per cento per i redditi fino a 35 mila euro) che costa 10 miliardi; e l’accorpamento, per il 2024, dei primi due scaglioni Irpef con un’aliquota al 23 per cento (che vuol dire riduzione di 2 punti per i redditi tra 15 e 28 mila euro) che costa 4,5 miliardi. Ma vale anche per altre misure, finanziariamente più contenute, ma dal forte valore politico per il governo come quelle per aiutare le famiglie numerose e alzare il tasso di natalità: l’aumento del fondo per il bonus asilo nido e lo sgravio contributivo totale, per la quota a carico delle lavoratrici, a favore delle donne che hanno due figli. Complessivamente un altro miliardo, ma sempre per un solo anno. Il resto della legge di Bilancio prevede 3 miliardi per la sanità, 5 miliardi per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e circa un miliardo di spese indifferibili come gli aiuti all’Ucraina e le missioni internazionali. Non c’è nulla di strutturale. O meglio, a fronte di  aumenti strutturali della spesa ci sono  tagli temporanei delle tasse in deficit.

 

È  quindi buffo affermare, come fa il viceministro dell’Economia con delega alle Finanze Maurizio Leo, che lo sconto temporaneo dell’Irpef sia il “primo modulo” della riforma fiscale. Da un lato perché “la riforma che l’Italia aspettava da 50 anni” – così Giorgia Meloni aveva definito la revisione dell’Irpef – non è certo uno sconto fiscale che dura un solo anno. Dall’altro, perché così com’è congegnato l’accorpamento dell’Irpef va anche in contraddizione con i princìpi della delega fiscale che puntano alla “flat tax”. Infatti il governo, evidentemente per risparmiare risorse e concentrarle sui redditi più bassi, ha introdotto un meccanismo di taglio delle detrazioni per i redditi oltre i 50 mila  euro che annulla l’effetto del taglio dell’Irpef.  

 

Ma questo metodo, che punta a rendere il sistema fiscale più progressivo, è in contraddizione con la decontribuzione totale per le lavoratrici con due figli: perché per le mamme con redditi medio-bassi, dato che è già prevista la decontribuzione di 6-7 punti, il vantaggio è di poche decine di euro lorde al mese; mentre per le mamme con redditi più elevati, il vantaggio è di 9 punti percentuali, quindi diverse centinaia di euro al mese (a seconda del reddito). Il meccanismo è in contraddizione rispetto a quello adottato sull’Irpef, che taglia le detrazioni per i redditi elevati, ma soprattutto è in contraddizione con il principio dell’agevolazione: se l’obiettivo è favorire la natalità incrementando il reddito disponibile delle donne lavoratrici, allora l’incentivo dovrebbe essere più elevato per i redditi più bassi e decrescere all’aumentare del reddito. Invece accade l’esatto contrario. Difficile cambiare la dinamica demografica con bonus del genere, per giunta temporanei.

 

Non si vede, insomma, l’orizzonte di legislatura della politica economica del governo Meloni. Ma si vede chiaramente che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti naviga a vista, con l’obiettivo di non andare a schiantarsi contro gli scogli della Commissione europea e dei mercati, cercando di tenere in riga la ciurma ed evitare ammutinamenti.  “È una legge di Bilancio che prende a schiaffoni tutti i ministri”, ha detto Giorgetti riferendosi ai tagli e ai no che ha dovuto dire ai suoi colleghi. Il caso più emblematico riguarda il tema delle pensioni, una sberla a Matteo Salvini, con un ulteriore restringimento dei requisiti di anticipo pensionistico e un ulteriore avvicinamento ai criteri della legge Fornero (si passa da Quota 103 a 104).

 

Ma si tratta solo del primo tempo del ministro dell’Economia. Il secondo lo giocherà nella due giorni in Lussemburgo, oggi l’Eurogruppo e domani l’Ecofin, dove si discute delle nuove regole fiscali europee in un clima  non molto favorevole: i “falchi” guidati dalla Germania, con il ministro delle Finanze Christian Lindner particolarmente agguerrito anche per i rovesci elettorali dei liberali, hanno gli occhi puntati sull’Italia. C’è poca disponibilità a concedere “scorpori” e golden rule sugli investimenti in deficit e, invece, c’è l’intenzione di richiedere criteri automatici di riduzione del debito per paesi fortemente esposti come l’Italia. Giorgetti, peraltro, dovrà anche chiarire cosa l’Italia intende fare sul Mes. Se a Roma gli “schiaffoni” li ha dati ai suoi colleghi italiani, in Lussemburgo dovrà cercare di non prenderli dai suoi colleghi europei.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali